Un Film simbolo di un modo di “esistere”
Avevo scritto quest’articolo alcuni anni fa per un portale online e sono andato a ripescarlo dal cassetto dopo aver rivisto il film, regalatomi in Dvd da un “amico”, che conoscendo la mia passione per il cinema, si è sentito in dovere di suggerirmelo in quanto colpito dalla colonna sonora e dalla bellezza dei paesaggi.
Opinioni che ritengo indiscutibili, peccato che abbia aggiunto una terza considerazione secondo me molto meno condivisibile, in cui affermava l’insopportabile liricità e la “ricercata ingenuità”dei personaggi nelle loro storie personali.
Sono stato decisamente tentato di dirgli che il film lo avevo gia visto e che ritenevo le sue affermazioni una bestemmia ma poi da buon ” compromessaio” ho lasciato perdere anche perchè quando un compromesso equivale a non offendere una persona e a non fare del male a qualcuno è sempre da accettare così come hanno senso tutti quei compromessi esistenziali strettamente necessari alla propria sopravvivenza e a quella dei propri cari.
Un altra cosa è invece l’abitudine ormai consolidata nella società moderna del compromesso come scelta di vita per cui alla lunga ci si abitua così tanto di non rendersi nemmeno più conto di aver perso ogni tipo di dignità morale ed intellettuale e di conseguenza di rispetto per se e per gli altri.
Infatti la linea di divisione fra il compromesso e l’immoralità può diventare molto sottile.Per questo ho rivisto più che volentieri il film e rivisitato quest’articolo che mi riempe di nostalgia per epoche e tempi in cui parlare di scelta di libertà aveva ancora molto senso, molto senso.
L’ultimo dei Mohicani
Leggere questo articolo, se così si può definire, senza aver visto il film “L’ultimo dei Mohicani” del famoso regista Michael Mann uscita nel 1992 è limitativo in quanto fa del tutto riferimento a quella pellicola. Invito comunque tutti coloro che non lo hanno visto a vederlo appena gli sarà possibile.
Il film secondo, la mia modesta opinione, merita davvero la pena di vederlo, non tanto per la trama che di per sè non ha nulla di speciale ma innanzitutto per la straordinaria ampiezza delle scene e l’intensità del respiro visivo, poi per l’estrema bravura dell’attore principale Daniel Day- Lewis nell’affascinante ruolo di Occhio di Falco (Hawkeye) interpretato in modo magistrale
Anche gli altri attori tutti molto bravi, Russel Means in quella del mohicano Chingachook, Erich Schweig in quella di suo figlio Uncas, la splendida Madeleine Stowe che interpreta la sensuale Cora di cui il protagonista si innamora e Jodhi May nella sorella Alice di cui si innamora Uncas, non ultima la stupenda colonna sonora scritta da Trevor Jones e Randy Edelmann che sostiene il film, con grande suggestione, in tutto il suo svolgimento.
Il film si basa sul romanzo storico di J.F.Cooper e tratta di un avvenimento vero, l’assedio delle truppe francesi al forte inglese William Henry, la sua distruzione e il successivo massacro delle truppe inglesi ad opera degli indiani Uroni comandati dal capo Magua durante la guerra dei 7 anni per il dominio coloniale in America.
Non è certo mia intenzione fare una recension positiva o meno sul film, d’altronde quando è uscito, dato il successo, l’opinione del pubblico e ancora di più quella dei critici lo hanno esaminato, studiato, giudicato nei minimi particolari per cui recensioni ce ne sono state tante e ci sarebbe ben poco da aggiungere.
Al di là delle celebrazioni e osannazioni e delle condanne di accentuato lirismo e scarsa vericidità storica (il generale Murno non venne trucidato- La figlia Alice era una mulatta nata da una relazione quando il comandante era di guarnigione nei Caraibi, nella strage perirono anche moltissimi indiani , i più perchè infettati di vaiolo con le coperte rubate al forte) .
Una delle cose che mi ha più colpito nel film è il silenzio, o meglio la sobrietà delle conversazione, i personaggi con la loro essenzialità di parole, con il loro linguaggio fatto di sguardi. Tutta la pellicola respira questa bellissima, romantica assenza di parole.
Bisogna cogliere questo aspetto del film con sensibile attenzione altrimenti, nella rapidità del movimento delle scene, rischia di sfuggire. In fondo è il messaggio più forte ed intenso che da il film, cioè l’accettazione ineluttabile del proprio destino e nel contempo tutta la forza e l’energia della lotta per la sopravvivenza e soprattutto il senso intrinseco del rispetto per la vita.
Un’ essenzialità e una diversità che scava una voragine incolmabile fra quegli uomini e noi, uomini come quelli sono veramente esistiti, per i pochi uomini di oggi in cui sopravvive faticosamente e tenacemente qualche retaggio di quella dignità umana, di quel vero e proprio orgoglio di razza, di appartenenza, di senso dell’amicizia e della famiglia il ricordo di quegli uomini è un grido di dolore, un romantico richiamo alla nostra vera natura, un vero schiaffo morale alla nostra moderna situazione intellettuale e spirituale.
Facciamo qualche esempio concreto, sediamoci in poltrona e guardiamo qualche spezzone di film: Cora viene catturata dagli Uroni, destinata ad essere bruciata viva, Occhio di Falco si presenta al campo degli Uroni suoi tradizionali nemici per offrire la sua vita al posto di quella della ragazza.
Quanti sono gli uomini che lo farebbero oggi? quanti invece quelli che stanno pensando”Che coglione, fallo tu, furbone“quanti, disposti ad un sacrificio del genere senza battere ciglia? quanti saprebbero avanzare imperterriti fra una schiera di selvaggi pieni di odio che ti ostacolano, ti picchiano, ti sputano in faccia senza mostrare il minimo cedimento, reazione o disappunto.
Oggi faremmo così “Lasciami stare brutto selvaggiooo”, “Ahiaha, cattivi, mi fate male” “Buzzoni, incivili” “Avete almeno un pò d’acqua ossigenata??” E Chingachook, padre putativo di Hawkeye, ma pur sempre padre che nutre un affetto totale per il figlio,non apre bocca, sa che sta per perderlo per sempre ma sa anche sta facendo la cosa giusta, che obbedisce al cuore, e non s’intromette.
Torniamo ai tempi nostri, ad un padre “Moderno”: “Ma sei matto, vorresti morire al posto suo?- Sacrificarti per quella – Quella girato l’angolo non sa nemmeno più- ma fammi il piacere, lascia che bruci, sai quante donne.“E il sacrificio del maggiore Eyward, ufficiale traditore, anche lui innamorato della bella Cora, che riesce a convincere il capo indiano a fare lo scambio con lui, qui siamo a livelli di personaggi Dostoevskyani, asceti del bene e del male, altro che mediocri comparse della vita reale.
Torniamo a sederci, Occhio di Falco insieme alla sua bella e ai compagni fugge mentre il povero maggiore sta bruciando, Chingachook, senza una parola, senza domande, senza un gesto getta il fucile al figlio che imbracciatolo con un colpo preciso uccide l’ex-rivale per terminarne le atroci sofferenze, l’intensità ed il grido di dolore di quel suo breve sguardo al maggiore appena colpito non si possono commentare poi si volge e riprende a correre, “non ci si può fermare“Io a volte temo di bestemmiare quando credo di non scherzare affermando che rinuncerei alla mia vita per vivere un anno l’intensità di quei titani E poi la straordinaria, sublime, affascinante unione spirituale che li collega, che ne fa un tutt’uno, che li fa agire senza appunto il minimo bisogno di parlare, senza un dubbio, una reticenza, una smorfia.
Ma veniamo a noi, stessa scena: Gli Uroni hanno appiccicato il fuoco al povero maggiore: “Cavolo, sta bruciando vivo- Già chissa che male- Bisogna fare qualcosa- cosa facciamo- Mio Dio, Mio Dio, non si può fare proprio niente- Beh, forse potrei sparargli- Sparargli? sei sicuro- Sicuro un corno ma qualcosa bisogna pure fare- Ma sei sicuro di centrarlo?, a questa distanza..”.
Finalmente parte il colpo, ce ne vogliono altri 2 per completare l’opera, nel contempo il povero Eyward è quasi bruciato del tutto ma quel che andava fatto è stato fatto. “Mio Dio, povero me, cosa ho dovuto fare, non saro mai più me stesso- Mi svegliero tutte le notti con l’incubo- Qualcuno ha un aspirinaaa? , un Moment?“.
Altra scena bellissima quella del momento della forzata separazione di Occhio di Falco dalla sua amata Cora, i fuggiaschi inseguiti dagli Uroni devono abbandonare nelle loro mani le due ragazze per salvarsi e garantirsi la remota possibilità di salvarle.
Qui c’è una delle frasi più lunghe pronunciate dal protagonista:”Devi vivere, non importa quello che accadrà. io ti troverò, non importa quanto ci vorra, fosse anche un secolo, io ti troverò” Che momento magico, che frase stupenda, esiste forse dichiarazione d’amore più bella? Detta poi da un uomo di quel calibro si coglie in tutta la sua totale ed intensa vericidità, non c’è dubbio che l’uomo impiegherà, se necessario, tutta la vita nella disperata ricerca.
Detta purtroppo ai giorni nostri, sia si tratti di un giovane pallido ed emanciato, un pò anoressico e magari un pò sniffato che da un palestrato tutto muscoli, pieno di tatuaggi, con il gel nei capelli e l’abbronzatura alla “Riace” suonerebbe forse di più come una presa in giro che una vera e propria dichiarazione d’amore.
Scena Finale
Il film, sostenuto appunto fino alla fine dalla insuperabile colonna sonora, termina con la scena finale della battaglia per liberare le due donne,altra scena di grande suggestione.
I tre protagonisti dopo una corsa frenetica, un inseguimento senza pausa raggiungono gli Uroni guidati da Magua (interpretato magistralmente da Wes Studi) altra figura, nella parte del cattivo, di titanico spessore. Uncas precede di poco il padre e l’amico- fratello.
Nel veemente desiderio di liberare l’amata Alice è troppo precipitoso nell’attacco all’esperto e fiero Magua che lo uccide e che a sua volta cade subito dopo sotto i colpi di Chingachook. Anche Alice, visto il giovane Uncas morire, si suicida gettandosi nel burrone.
Tre morti , quella di Alice, di Uncas e di Magua avvengono senza parole, tutti vanno incontro al loro destino senza far rumore, senza la minima lamentela, tutti e tre hanno tempo per rendersi conto di morire ma nessuno mostra il minimo segno di sconforto o tentennamento, la minima ribellione, se ne vanno con la silenziosa dignità delle grandi anime.
Significativa soprattutto in questo senso la scena della morte di Magua che sa che il suo avversario è il padre del giovane che lui ha appena ucciso, che comprende ed accetta il suo diritto a vendicarsi e che, sconfitto, offre la sua testa al colpo finale guardando l’avversario negli occhi quasi a dirgli”fai quello che è giusto sia fatto“. Che bella gente!, che spiriti!, che anime!
Torniamo ancora una volta alla nostra epoca, Magua è stato sconfitto, è ferito, ferito ma vivo “Noooo, ti prego non uccidermi, io non volevo uccidere Uncas, é stata una fatalità- Aspetta, aspetta, guarda qui, la mia carta di credito, è tua se vuoi- Tieni, tieni il cellulare, è un Nokia- Lasciami vivere ti prego, sarò il tuo schiavo per sempre“Per non aggiungere di peggio come offerte sessuali ecc ecc
Poveri noi, ripeto quello già ribadito tante volte, noi non siamo uomini, siamo dei patetici mutanti, e a testimoniare la mia affermazione sono sufficienti i tanti commenti al film di alcuni critici che hanno parlato di “ingenua forza dei grandi sentimenti“,”Ingenua forza dei grandi sentimenti”? E cosa siamo noi senza grandi sentimenti? Che bestemmia intellettuale, va bene sarà pur ingenua come dite voi ma ti penetra nell’anima come un trapano, ti coinvolge in tutto il tuo essere, ti scuote dall’abituale torpore e ti riaccende la reminiscenza di cosa dovremmo essere per poterci ritenere “uomini”
Sarete critici bravi nel vostro lavoro ma siete poca sostanza se riuscite a restare sordi ad un richiamo così potente a quel qualcosa di spirituale che se pur nascosto, avvilito, schiacciato resta prepotentemente vivo nella nostra anima per rinfiammarsi, quasi con violenza, ogni volta che viene rispolverato.
Come facciamo a non capire che quella reminescenza siamo noi, che quella genetica emozione spirituale pur con le nostre continue offese, il vilipendio, il tentativo di cancellarlo dal nostro DNA continua a vivere, non muore, resta immobile dimenticata per giorni e giorni e poi improvvisamente riemerge in tutta la sua integrità.
Dovrebbe essere il nostro faro conduttore, la luce nel buio, il sentiero come dice Guccini in Cyrano, sua splendida canzone”prendetevi la ghiande, lasciatemi le ali” altro che “ingenuità dei grandi sentimenti”. Tutt’altro, è invece l’unico punto fermo, l’unico segnale costante e chiaro nella confusione da seguire anche a costo della stessa nostra vita perchè senza di lui è già “non vita”