Sarà banale ma mi piace seguire le trasmissioni televisive che ripropongono vecchi filmati del passato. Stasera per esempio ho visto un Gianni Morandi giovanissimo cantare la canzone “ho visto un film”. In un lampo mi ha riportato appunto al film, visto tanti anni fa, Sacco e Vanzetti del 1971 diretto da Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla.
Il film documentario tratta del caso giudiziario durato dal 1920 al 1927 che ebbe come protagonisti gli immigrati italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condannati a morte il 15 aprile 1920 per l’omicidio di due uomini durante una rapina in un calzaturificio.
Dopo tre processi, i due italiani vengono condannati a morte nel 1921 nonostante contro di loro non ci sia nessuna prova certa, ma addirittura la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto Sacco e Vanzetti.
E a nulla valsero neppure la mobilitazione della stampa, la creazione di comitati per la liberazione degli innocenti e gli appelli più volte lanciati dall’Italia. La loro esecuzione provocò proteste in tutto il mondo.
Un’ ingiustizia che ha macchiato la coscienza americana, l’indiziario delle prove addotte contro i due italiani (che erano attivisti anarchici) attirarono sulla corte accuse di faziosità dettata da motivi razziali e politici. Il destino dei due anarchici italiani, capri espiatori di un’ondata repressiva lanciata dal presidente Woodrow Wilson contro la «sovversione», non solo smosse le coscienze degli uomini dell’epoca, ma come un fantasma continuò ad agitare l’America per decenni.
La richiesta di riaprire il caso venne sistematicamente e testardamente rifiutata. Solo più di 50 anni dopo il governatore del Massachusetts Michael Dukakis riconobbe in un documento ufficiale dell’agosto 1977 gli errori commessi nel processo, riabilitando completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
Una storia di ordinaria ingiustizia, che divenne qualcosa di più grande e simbolico. Come lo stesso Bartolomeo Vanzetti comprese, quando rivolgendosi alla giuria che lo condannò alla pena di morte, disse: «Mai vivendo l’intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini»
Ed era vero, il loro sacrificio divenne il simbolo dell’anelito di libertà, giustizia ed uguaglianza sociale nell’America del 900.
Il problema è che noi esseri umani dimentichiamo facilmente. Considerando l’andazzo generale credo sia più che mai attuale la loro storia e soprattutto estremamente necessario risvegliare il ricordo della loro inqualificabile condanna per restare vigili e coscienti .
Nella società democratica attuale pare assurdo e utopistico eppure non bisogna mai abbassare la guardia. Tutti noi potremmo, da un momento all’altro, senza alcun preavviso e magari senza rendercene in conto per tempo, trovarci nella loro stessa condizione