Una di queste sere ero a cena con un paio di amici e cosa abbastanza inconsueta per noi abituati generalmente a parlare di cose più contingenti e pragmatiche siamo finiti a parlare di letteratura. Io mi sono permesso di affermare, raccogliendo, se non il dissenso, sicuramente la perplessità dei presenti che, secondo me, Beppe Fenoglio è stato uno dei più grandi scrittori del 900 ed uno dei più lungimiranti innovatori della scrittura italiana, sostenendo con non mutata convinzione che, per me, Fenoglio meritava un riconoscimento ed una fama di gran lunga superiore a quella ottenuta.
La perplessità dei miei interlocutori è diventata dissenso quando imperterrito ho aggiunto che Fenoglio faceva in Italia il tipo di letteratura dei contemporanei americani, ma secondo me con una scrittura ancora più moderna e penetrante e che solo una lettura superficiale e poco sensibile poteva non cogliere nei suoi libri l’ampiezza e l’universalità del suo respiro che si espandeva ben oltre la prima impressione di ristrettezza perimetrale e territoriale che appunto uno sguardo disattento portava a pensare.
Sono stato cosi piacevolmente sorpreso ed umanamente gratificato (e grato) nel trovare sostegno a questa mia convinzione nel bellissimo articolo letto sul quotidiano La Repubblica del 4 novembre scritto da Alessandro Baricco che ha saputo in una maniera lungi dalle mie possibilità cogliere con grande sensibilità e descrivere con estrema e succinta chiarezza la grandezza fenogliana.
Ne riporto la parte che ritengo più essenziale perchè credo sia davvero importante in qualche modo riscoprire e rivalorizzare un pezzo di letteratura italiana che come poche ha saputo condensare in un territorio fintamente ristretto tutti i temi della vita nella sua continua contrapposizione tra sogno e realtà per dare a Fenoglio non solo il riconoscimento ma anche la gratitudine che merita.
“I più conoscono Fenoglio per via del “Partigiano Jonny” ma probabilmente il meglio che lui ha scritto è in alcuni racconti e forse nel romanzo breve”Una questione privata” Solo una piccola setta poi sa che il vero gioiello è “La paga del sabato“……….La verità è che Fenoglio all’inizio degli anni cinquanta faceva, con naturalezza, il tipo di letteratura che, trent’anni dopo, sarebbe diventata la nuova letteratura italiana. Era maledettamente avanti. Ma, come i veri profeti ,era anche suntuosamente antico, con quella sua lingua dura, arcaica, petrosa, velamente dialettale. Faceva cinema, ma un cinema nebbioso, contadino, e scettico. Raccontava rapido, inquadrava da Dio, scriveva dialoghi degni di un Hemingway, ma il tutto con una grammatica spigolosa, una voce arcaica e una musica da balera autunnale e lontana. Era il futuro ed il passato, simultaneamente, era città e campagna, alba e tramonto, una cosa che riesce a pochissimi……………Oggi è più facile riconoscere quel che di eterno Fenoglio raccontava: la frizione fatale tra l’infinito dell’immaginazione, della voglia, della speranza, della giovinezza, della fame e la sterilità del mondo reale. Mi è molto chiaro che lui poteva farlo con quell’esattezza e quella poesia perchè era piemontese. Vi fara sorridere, perchè la piemontesità è un mito non pervenuto, ma noi che siamo nati lì sappiamo come quella terra e alla sua gente è stata data in dote una conoscenza inusuale di cosa sia il dolore: giacchè da nessuna altra parte, in Italia, si eredita di padre in figlio la stessa miscela di timidezza e ribellione, di coraggio e modestia. Il mix è micidiale: siamo goffi al cospetto della felicità, e dignitosi nelle avversità: così manchiamo lo spettacolo della vita, spesso, ma ne rispettiamo la dignità come pochi altri. Ciò fa di noi gente sfumata, spesso, destinata ai titoli di coda. Se da tutto questo traiamo un privilegio, questo è probabilmente un certo sguardo d’acciaio e dolcissimo sul dolore, una specie di confidenza. Fenoglio è quello sguardo, lo è in ogni singola riga, lo è con una precisione e una maestria che io non riconosco a nessun altro………” (Alessandro Baricco La Repubblica 04/11/2012)
Grazie Beppe,grazie Alessandro