Premetto che, in queste poche parole che vado a scrivere, non c’è la minima intenzionalità di alcuna critica nei confronti della manifestazione che ritengo positiva,valida e necessaria a mantene vivo il ricordo ed il collegamento delle nuove leve con quelle che sono le nostre radici e la nostra tradizione da cui non possiamo e non dobbiamo staccarci pena la perdita di quei valori e di quel sentimento di comunione ed appartenenza sempre più difficili da tenere in vita in quanto a cosa sembra condannati dall’era digitale all’oblio
Preciso anche che la cosa a ben poca importanza ed addirittura credo, per i più, nemmeno senso ma lo ha per me, diciamo che il motivo è fine a se stesso e che sta tutto nel semplice piacere e desiderio personale di evidenziare un aspetto che mi è sempre piaciuto poco della base della rievocazione storica della sagra del Paese dove vivo, cioè quella del Polentone anche se come già affermato non ne inficia affatto la generale valenza positiva
Questo aspetto sta nel motivo di base che sottende tutta la rievocazione cioè nel “nobile gesto” di magnanimità del Signorotto locale che, toccato nel cuore, dalle precarie condizioni socio-economiche del gruppo di caldera a lui rivoltosi in cerca di aiuto gli fa dono della farina per cucinare la Polenta con cui sfamarsi.
Anche se si tratta probabilmente più di una leggenda che di un fatto storico preciso e documentato, l’episodio narrato ha però sicuramente solidi basi di verità nella rievocazione di uno stato di cose come effettivamente era in quell’epoca di miseria, sfruttamento e stridente disuguaglianza sociale.
Per carità, non sto dicendo che adesso non esista più la sperequazione sociale, anzi stiamo appunto assistendo negli ultimi anni al suo, pare inesorabile risorgere, però possiamo dire che grazie a tante persone illuminate, alle lotte anche cruenti e al sacrificio di tanti “martiri” c’è effettivamente stato un periodo dove un pò si erano appianati certi scalini o in cui perlomeno nessuno più soffriva “la fame” Invece nel periodo a cui fa riferimento la rievocazione storica della famosa sagra la maggior parte della popolazione, soprattutto la contadina, soffriva “la fame”,nel vero senso letterale della parola condita da ogni tipo di angheria, sopruso e forma di sfruttamento
Tristo fu lo inverno dell’anno del signore…” E’ con questa frase dolorosamente e drammaticamente semplice e che inizia la leggenda medioevale che è alla base di questa antica rievocazione e che racconta di un gruppo di poveri calderai i quali giunti a Bubbio, stremati, affamati e senza viveri, affidarono alla magnanimità del Castellano locale ogni loro speranza di sopravvivere….. Ripeto……”ogni speranza di sopravvivere”
La storia o leggenda da cui si ricostruiscono le varie rievocazioni storiche in costume curate da alcuni paesi della Valle Bormida, è pressochè la medesima e prende appunto spunto da questo presunto atto di generosità del signorotto (marchese) locale, che emotivamente partecipe dalla condizione di estrema miseria, in cui si trovava un gruppo di calderai(caudrinè),di passaggio in quanto in cerca di lavoro fece loro dono, di un buon numero di sacchi di farina grazie ai quali gli artigiani con la collaborazione dei contadini locali, tra l’altro in una situazione economico sociale sicuramente non meno penosa, fecero cuocere una polenta così gigantesca da sfamare tutti i presenti.
A parte il non trascurabile fatto che in realtà non si tratto di un dono vero e proprio(e quando mai) in quanto il marchese pretese in cambio la costruzione (qualcuno parla di riparazione, in qualcun altro luogo si parla di un regalo di ringraziamento dei calderai al Marchese ,comunque il concetto di fondo non cambia) del gigantesco paiolo di rame utilizzato appunto per cuocere la polenta questo resta emotivamente il momento che mi piace di meno.
La seconda giustificazione per la quale la miserabile condizione della popolazione contadina sarebbe stata legata ad un anno di grande carestia lascia il tempo che trova, infatti avrebbe
potuto al massimo aggravare quella situazione di estrema miseria miseria che è stato per tanti anni il leitmotiv dell’epoca
Questo aspetto poco edificante della rievocazione che riporta ai temi universali in cui si è sembre dibattuta l’umanità nella sua disumanità mi ha sempre, distolto dalla concentrazione sulla festa e per così dire un pò amareggiato.
Il lato che ho sempre un pò detestato non sta tanto nel comportamento indifferente ed egoistico della allo “classe dirigente”(che si può anche comprendere) quanto in quello di sussiegoso ringraziamento ed espresso servilismo dei rappresentanti della popolazione verso il marchese( in realtà pure questo comprensibile,… avrebbè anche potuto infatti fargli tagliare
la testa) e sia l’atteggiamento adulatorio del volgo nei confronti di quello altezzoso dei signorotti del Castello
Meglio quindi, come già ho sottolineato in altre occasioni, stendere un velo pietoso sulle motivazioni storiche della festa senza indagare sulla realtà di profonda ingiustizia sociale e di sfruttamento delle classi più povere dell’epoca dove fatico parecchio ad estrapolare nel marchese locale quella presunta e regale nobiltà d’animo che la rievocazionea priori gli conferisce.
A quanto pare senza l’umile e sentita implorazione del gruppo dei calderai lui avrebbe tranquillamente continuato a fingere di ignorare che i suoi “lavoranti” praticamente rischiavano ogni giorno di morire di fame e di doversi togliere il pane di bocca per cercare di non dover vedere i propri figli fare la stessa fine. Tutto questo mentre lui continuava beatamente a banchettare alla grande con i suoi amici cortigiani nel suo lussuoso e caminettoso(se ci sta petaloso!!) castello fagiani, lepri, cinghiali e chi più ne ha più ne metta.
Già, come giustamente dite, è sempre stato così e probabilmente sempre sarà però adesso comincia ad essere più chiaro dove ci sta portando sempre più velocemente questo cammino d’ingiustizia e disuguaglianza sociale
A fare da contraltare e ribadire che il senso dell’umanità è, può e sa esprimersi a livelli decisamente più alti è invece l’aspetto della rievocazione su cui più di ogni altro mi piace soffermarmi:la grande valenza morale insita nella ovvia collaborazione che si instaura immediatamente tra i calderai ed gli abitanti locali che nasce spontanea da quell’empatico senso di solidarietà,
generosità e senso dell’etica tipico della gente che “soffre insieme”, dell’ intrinseco e così calorosamente umano senso di condivisione, compartecipazione, reciproca ed atavica generosità che cancellano ogni pessimismo ribadendo, per l’ennesima volta il senso ultimo ed i valori stessi fondanti dell’umanità. Sentimenti e valori che sono tanto facilmente alla portata delle classi più povere
quanto quasi irraggiungibili da coloro che sono ai vertici, assorbiti come sono dalle loro beghe di aumento di ricchezza, potere e privilegio