Borgata Giarone Bubbio(Asti): un nome legato alla ghiaia: un torrente in piena
Il nostro piccolo affittacamere si trova in una piccola borgata in regione Giarone del paese di Bubbio (AT). Poco più di una decina di case disposte, come in quei disegni che ti fanno fare a scuola per capire la prospettiva, in fila, su ambedue i lati della statale che collega Alessandria ed Asti.
Il nome della borgata sembra essere legato alla voce “ghiaia” , infatti, andando un pò più indietro nel tempo, a quando ero un vispo bambinello, si usava ancora insieme al nome Giarone anche quello di Ghiarone cioè in senso letterale “grossa ghiaia”.
L’origine di questo nome caratteristico ha due tesi, quella forse più verosimile è che sia nato in seguito al ritrovamento, durante gli sbancamenti per realizzare le fondamenta delle case, di diversi lotti di terreno con diversi strati di ghiaia. Questo tra l’altro fa ritenere probabile che il corso del fiume Bormida un tempo decisamente remoto passasse appunto qui.
La seconda tesi più recente è che la borgata durante i lavori pubblici per la realizzazione delle varie strade della zona tra cui anche l’ attuale statale fosse una base per lo stoccaggio e il trasporto appunto della ghiaia necessaria al lavoro.
Mio padre mi raccontava infatti che era stata allestita una vera e propria linea ferroviaria di carrelli per il trasporto che partendo dal fiume Bormida convogliavano la ghiaia alla borgata e da qui alle zone di lavoro, da qui il caratteristico nome Ghiarone, poi siccome la traduzione in dialetto Piemontese è Geiron il nome definitivo è diventato Giarone.
Ovviamente i residenti della piccola borgata si conoscono tutti, ognuno conosce la storia di vita di tutti gli altri, gli usi e le abitudini, come si suole dire “vita e miracoli”, molti sono parenti. Ad esempio nella casa dietro la mia abita mia sorella Bruna, in quella di fronte mia cugina Sandra, in un altra poco spostata a destra mio cugino Roberto e cugina Rosalba, nell’ultima a sinistra in prossimità della curva che interrompe il lungo rettilineo abita la cugina Pina con i figli Gianfranco e Claudia.
Gianfranco ha un anno in meno di me e Claudia è più giovane di qualche anno per cui siamo praticamente cresciuti insieme e anche se poi per diversi motivi le nostre strade si sono divise e abbiamo trascorso lunghi periodi senza incrociarci resta comunque fra di noi quel tipo di legame particolare che nasce appunto nell’infanzia e che lascia una specie di marchio indelebile nello spirito.
La nostra non è una parentela stretta, ero cugino secondo con Pino, il padre, mancato qualche anno, ma nonostante questo il rapporto fra le nostre famiglie era molto intenso. Volevo molto bene ai nonni di Gianfranco, soprattutto verso la nonna Ida, zia acquisita di mia madre, nutrivo per loro quell’affetto di ingenua fiducia e assenza totale di spirito critico tipico dell’infanzia, quelle rare volte che riuscivo ad andare a cena da loro era una festa, una gioia profonda, non mi interessava assolutamente niente il tipo e la qualità del cibo, a me bastava la novità e la loro compagnia.
Zia Ida faceva un lavoro di cui è rimasto solo il ricordo, ma che, a quei tempi, era importante, utile e apprezzato dalla comunità, quello della lattaia, aveva diciamo così ereditato l’attività dalla suocera(mia Bisnonna).
La povera Ida tutti i giorni, con qualsiasi tipo di clima o condizione atmosferica, partiva da casa a piedi con un paio di grossi recipienti di alluminio pieni di latte(sui 25 Kg), dopo aver servito i clienti della sua borgata, noi per primi per posizione geografica, si faceva tutta la salita per portare il latte ai clienti su in paese, un’ impresa, come fatica, non da poco, se si pensa che ha svolto questo lavoro per più di 30 anni e che negli ultimi anni di attività aveva più di 65 anni.
“I ian tuntunò, a lè Ida con el lac”(Hanno bussato, è Ida con il latte), era una consuetudine, un live-motive, un segnale , un punto di partenza l’arrivo puntuale tutte le mattine di Ida con il bidone del latte e il grosso mestolo con cui prelevava e consegnava la dovuta razione di latte.
Sembrava quasi che se, per qualche motivo, non fosse potuta passare la giornata non avrebbe avuto seguito, io non sarei potuto andare a scuola, mio padre e mia sorella iniziare le loro attività lavorative, mia madre le sue faccende domestiche. Era quasi un sollievo, una conferma, una gioia intrinseca vederla entrare dalla porta con il suo caratteristico recipiente.
Ida si procurava il latte in parte da produttori del vicinato e in parte autonomamente grazie alla paziente e fidata collaborazione di una mucca a cui tutti nel Giarone eravamo affezionati. La stalla che ospitava la nostra amica era a pian terreno praticamente sotto al piano abitato, aveva il soffitto molto basso così come la porta di accesso, il piano della stalla era più basso di quello esterno di circa 20 cm.
Parallelamente alla stalla, spostato longitudinalmente di circa 5 metri e più ribassato di 2 correva (e corre tutt’ora) un piccolo torrente: “l’Arian ed Casinasc” “Il retano di Cassinasco“così chiamato appunto perchè proveniente dal paese di Cassinasco distante 4 km da Bubbio.
Il corso d’acqua che, in condizioni di normalità, aveva una portata ridicola era famoso in tutto il paese per la formidabilità delle sue piene, nessun altro ruscello sapeva trasformarsi come lui da poco più di un rigagnolo in un fiume impetuoso e devastante. Questa sua prerogativa era dovuta sia alla vastità del territorio che toccava e di cui riceveva l’affluenza della miriade di fossi presenti sia al fatto che poco sopra casa mia confluivano in lui due altri ruscelli, uno minore”L’Arian ed San Pò” (Il retano di San Ippolito) ed uno di quasi pari grandezza, “L’Arian dla Cafra” (Il retano della Cafra)
Così quando pioveva intensamente per molti giorni, era un continuo andirivieni di gente della borgata da casa al retano e viceversa per controllare il livello dell’acqua. La scommessa era essere presente quando il torrente al massimo della piena urtava il ponticello di legno che collegava le due sponde, ancorato a dei robusti pali conficcati in una delle due sponde con una corta catena.
Ad un certo punto il ponte cedeva alla forza delle acque e “partiva” ruotando rapidamente su se stesso a mo di catapulta, quella era la scena clou dello spettacolo che nessuno voleva perdere, quando l’acqua cominciava a colpire il ponticello partivano le scommesse di quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare alla giravolta: Tavio ed Becon, mio padre, era uno di quelli che più ci azzeccava.
Torrente in piena: salvataggio della mucca
Quella notte di circa 50 anni fa io avevo grosso modo 5 anni, era piovuto tutto il giorno ma in modo normale, costante. Coricato nel letto ascoltavo il ritmico martellio delle gocce sulla grondaia che andava man mano attenuandosi di pari passo all’aumentare del sonno. Le grida mi avevano letteralmente strappato da un sogno bellissimo ricco di fiori e alberi da frutta.
Tavio era già sul terrazzo, non capivo bene le sue parole ma avevo colto il senso della discussione, stava cercando di tranquilizare qualcuno.”Cosa succede?”stava intanto chiedendo mia madre. “C’è la piena del torrente, strano, non capisco, sarà venuto un temporale da qualche parte più in su” “Era Ida che chiamava c’è già l’acqua nella stalla, la mucca è in pericolo, è già immersa fin sopra la pancia” “Oh no, Dio mio, non vorrai ritornare la dentro- Stai tranquilla, magari non è necessario, andiamo a vedere la situazione”
Mio padre, possedeva una forza al di fuori del comune, io stesso l’ho visto sollevare e portarsi all’altezza delle spalle l’incudine(105 Kg) del laboratorio e un incudine non è bilanciata e non si afferra bene come un bilanciere, questa forza legata al suo carattere deciso e sempre disposto ne avevano fatto il punto di riferimento della borgata, tutte la volte che c’era qualche “rogna” da risolvere.
Mia madre, mia sorella Bruna ed io, armati di una torcia elettrica seguimmo Tavio che ci aveva preceduti di corsa al torrente, intorno buio totale, le voci concitate, confuse e trasformate dal rumore delle acque in corsa che aumentava man mano che ci avvicinavamo metteva freddo nelle ossa. Nel percorso incontriamo “Vigio”:”Cribbio, che piena, il ponte è già stato sbattuto via” “La mucca è spaventata e rischia di annegare- Becon vuole andarla a prendere ma secondo me è un grosso rischio” Ci sorpassa Giovanni “porto la corda a Tavio per imbragare la mucca, bisogna fare presto”
Intanto arriviamo nel punto in cui l’acqua del torrente ci arriva a metà gambali, facciamo appena in tempo con la pila ad intravedere mio papà entrare a fatica nella stalla.
Passano minuti che sembrano un eternità, poi mio padre esce, la presa ferrea sulla corda legata alla catena al collo della mucca e con la mano sinistra a coprire con una coperta gli occhi della poveretta in modo che non si spaventi. E’ fatta, mia madre finalmente riprende a respirare, mia sorella di 10 anni più grande di me piange per il sollievo.
“Che sciocca, come faceva a non capire che mai il torrente avrebbe potuto trascinare mio padre nelle sue acque vorticose e se poi anche fosse successo quale era il problema? Mio padre con un salto prodigioso sarebbe balzato fuori dal torrente con il sorriso sulle labbra e la mucca sulle spalle”