Ricordavo parola per parola quello che con molta cura dei particolari mio padre aveva spiegato ai quei due simpatici signori di Loazzolo, allora io avevo automaticamente pensato che fossero padre e figlio,in realtà molti anni dopo avrei saputo che il più giovane dei due aveva perso il padre nel periodo della resistenza partigiana, per cui non so con precisione quale legame di parentela li legasse o magari solamente di amicizia.
Stavano seduti di fronte a me, all’altro capo del tavolo. Io stavo inutilmente cercando di venire a capo di un ingrato problema di matematica che si ostinava a nascondermi la soluzione. A dire il vero facevo molta più attenzione alla pacata discussione che si stava svolgendo a pochi passi che non ai dati dell’ostico problema, tanto più che sapevo che di lì a poco sarebbe tornata dal lavoro mia sorella che non mi avrebbe rifiutato il suo aiuto
Mio padre li aveva invitati a bere qualcosa e per proseguire più comodamente un discorso già iniziato fuori che riguardava la possibilità o meno di segare un grosso tronco di castagno. “No, un dispias ma sa an tel cu a le pi tant che in metr a pos nent taieule”(“Mi spiace ma se alla base ha un diametro di più di un metro non posso tagliarvelo”).. ” Ma , aiuma nent anzirole ma pi tant di in metr u lè nent ed sicur, ul sarà manc in metr”(“Ma, più di un metro non lo è di sicuro , non sarà nemmeno un metro”) rispondeva il piu anziano dei due.
Intuivo che mio padre si stava dibattendo sul desiderio sensato di dirgli no e la prospettiva di un opportuno guadagno in un periodo in cui il lavoro scarseggiava e le spese aumentavano “Va ben,anlura al taiuma, ma beichè che si rive con in bion pi gros d’in metr il porte andrè me ca lè perchè a le scarii manc. A suma dacorde??” (“Va bene, allora lo tagliamo, ma guardate che se arrivate con un tronco di diametro più di un metro lo portate indietro così com’è perchè non lo scarico nemmeno. Siamo daccordo?”) “Dacorde, dacorde sta tranquil. Quand cal taiuma?” “D’accordo, d’accordo, stai tranquillo. Quando lo tagliamo?”) “Vist ca le da taiè, pruma cal fuma mei ca lè, per me u va ben anche dopduman, su va ben anche per vuiac i vene zo ala maten, un zogna che sie que a t’iot ure” (“Visto che è da tagliare, prima lo facciamo e meglio è, per me va bene anche dopodomani, se va bene anche per voi venite giù al mattino, bisogna che siate qui verso le otto”) “Va ben, nui dopduman anturna a ot ure suma que, ciao Tavio, ciao fanciuten, ti daroi na man anche te?”(“va bene,noi dopodomani verso le otto siamo qui, ciao Tavio, ciao ragazzino, ci darai una mano anche tu??”)
Non avevo sicuramente bisogno di sollecitazioni, non stavo già più nella pelle all’idea di partecipare all’operazione. Il giorno stabilito, alle sette stavo già facendo colazione. Erano persone puntuali, alle otto in punto il rumore abbastanza insolito per quei tempi del trattore che arrivava era il segnale che aspettavo con impazienza, giacca e berretto e fuori. Rimasi immediatamente colpito dalla singolarità del carico, non sapevo valutarne le dimensioni ma era un tronco enorme, non ne avevo mai visti di cosi grossi arrivare prima alla nostra segheria.
Mio padre cercava di controllare il suo nervosismo, non era certo il tipo da far scenate ma faticava a trattenere il suo disappunto: “Vuiac i sei mat, loca aiova dive, sa lè pi tant di in metr a pos nent taiele, uv tuca purtele andrera pareg” (“voi siete matti, cosa vi avevo detto, se è più di un metro non posso tagliarlo, vi tocca di riportarlo indietro così com’è”) “A lè pa tant ed pò di in metr, u dove ese in metr e vint”(“non è mica tanto di più di un metro, dovrebbe essere un metro e venti”) Mio padre nel frattempo aveva tirato fuori il metro.”Te beica, a lè pì tant d’in metr e tranta, ed vughe?” (“Toh, guarda è più di un metro e trenta, vedi?)”A pos nent taiele, turne andrera”(“Non posso tagliarlo, tornate indietro”)
L’affermazione sembrava sgomentare i due contadini: “Cribbio, Tavio fome nent n cosa pareg, aiuma tribilò chisa quant a campele zo per nent parlè a cariele a sel rimorchio” (“Cribbio, Tavio non farci una cosa simile, abbiamo tribolato chissa quanto ad abbatterlo per non parlare del caricarlo sul rimorchio”). Tralascio il resto della discussione, quei signori di Loazzolo erano persone molto gentili ed intelligenti che, conoscendo bene mio padre, seppero far leva sui tasti giusti cioè il suo buon cuore, il senso della solidarietà ed il suo orgoglio “Tavio, fone ed piasì, es bion que se tli mi toie nent te u ion dac qu po fele”(“Tavio facci questo piacere, questo tronco se non ce lo tagli tu non c’è nessun altro che può tagliarcelo”).
Così mio padre si arrese e decise di tentare il taglio, nonostante la segheria fosse stata realizzata artigianalmente, in gran parte a mano, da nonno Becon funzionava molto bene e poi mio padre nella preparazione delle lame da taglio era un vero e proprio artista, sia nella stradatura che nell’affilatura per cui tutto il circondario attestava verbalmente l’efficienza della struttura “Se ed vore avei ed ias ben arsio, dric e precis ed dove andè da Tavio” (“Se vuoi avere delle tavole ben tagliate, diritte e precise devi andare da Tavio”). Però le dimensioni limitate della macchina sia come spazio che come potenza rendevano il taglio di un tronco così grosso un operazione davvero improbabile che ovviamente attirò la curiosità e l’attenzione di tutti gli amici, abitanti della nostra piccola borgata.
Il primo fu Vigio”Ma Tavio ed vurroi pano taiè es bion“(“Ma Tavio, non vorrai mica tagliare questo tronco”), poi Giuani ed Basan”Porca miseria, che rosa ed bestia cu iè que, me che et foi a cariele a sen el caret?”(“Porca miseria che razza di bestia che c’è qui, ma come farai a caricarlo sul carretto”) e poi Luigi.”Ma anche se te riesce a campele an sel caret me che ed foi a traverse la stro e spustele poi an sel caret da bion? Ti la foi moi po”(“Ma anche se riesci a scaricarlo sul carretto di trasporto come fai ad attraversare la strada e poi a spostarlo sul carretto da taglio? ?Non ce la farai mai “) e via di questo passo, man mano che si aggiungeva uno, nei suoi commenti ,stupore ed incredulità. Infatti a quei tempi,non c’erano muletti o gru, bisognava contare unicamente sulla forza delle proprie braccia ed era naturale per chiunque si accostasse a quel tronco enorme ritenere una pazzia già solamente il trasporto. E fu davvero un impresa straordinaria che solo, l’abilità, il coraggio e la lunga esperienza di mio padre resero possibile.
Una difficoltà ed un pericolo costante in ogni operazione e momento, lo scarico dal rimorchio sul carretto manuale di trasporto anche se estremamente robusto poteva causarne la rottura o più probabilmente il ribaltamento e la caduta a terra. Grazie all’ausilio del trattore e di grosse funi di contenimento si riuscì in uno spostamento abbastanza dolce del bestione. Potei dare sfogo a tutto il mio desiderio di contribuire all’impresa nell’operazione di spinta del carretto carico dal rimorchio alla segheria, operazione a cui parteciparono molti altri volontari della borgata.”Fin que ai suma rivoie”(“Perlomeno, fin qui ci siamo arrivati”) esclamò mio padre. Il primo grosso inconveniente che complicò non poco le cose si verificò quando dal carretto di trasporto si fece rotolare il tronco su quello da taglio; nonostante tutte la attenzioni e gli accorgimenti adottati da mio padre per compiere il passaggio il più dolcemente possibile l’impatto causato dal tremendo peso del tronco fece balzare fuori dalle rotaie di guida il malcapitato carretto spostandolo lateralmente di un paio di metri.
L’operazione per riportarlo sulle sue guide in ferro fu piena di difficoltà, insidie ed una certa dose di pericolo, comportò un sacco di tempo e una tremenda fatica. Secondo grosso problema come aveva già previsto mio padre fu il fatto che il tronco era troppo grande e non poteva passare in quanto urtava il supporto della sega, bisognava asportare dalla parte della base del tronco una grossa fetta laterale. Con una delle attuali motoseghe il lavoro sarebbe stato relativamente semplice ma loro dovettero, lavorando a turno, farlo tutto a colpi di scure ed oltre tutto in una posizione molto scomoda, di traverso. Comunque verso le undici e trenta si cominciò ad effettuare finalmente il primo taglio.
Era un punto cruciale,il momento della verità per mio padre, della verifica della fattibilità dell intera operazione, solo io che lo conoscevo bene e che sapevo bene l’importanza di quel primo test di prova potevo cogliere l’espressione tirata del suo volto. A lui bastava quel primo fondamentale metro di faticosa penetrazione della lama nel legno per avere risposta alle sue preoccupazioni, per sapere innanzitutto se aveva “indovinato” il settaggio perfetto delle lame, condizione perentoria per far si che il piccolo motore(solo 3 kW) di alimentazione della sega riuscisse a non “mollare”. Infatti prima ancora di iniziare il taglio avevo già svolto il solito incarico di aprire i finestrini e le finestre per ventilare il più possibile la zona intorno al motore che sottoposto a quel duro sforzo per ore sapevamo raggiungere temperature notevoli “Gianfranco, va a tuchè el mutur ma fa tension ed nent brisete”(“Gianfranco vai a toccare il motore ma fa attenzione di non bruciarti”)
Quante volte avevo sentito mio padre rivolgermi quell’invito, quasi una frase rituale, su questo fra me e lui c’era uno tacito accordo, forse cromosomico, aspettavo infatti che me lo dicesse la prima volta poi non era più necessario, puntualmente di tanto in tanto effettuavo in silenzio il controllo ed, ormai esperto, sapevo quando il calore diventava preoccupante “Papà, a le mei che voghe a vughe in mument anche te”(“Papà, è meglio se vai a vedere un momento tu”), e lui andava subito perchè sapeva automaticamente che il mio non poteva essere un falso allarme. Molte volte avevamo dovuto interrompere per un certo tempo il lavoro per dare la possibilità al povero motore di rifiatare.
Diventava quindi prioritario oltre alla perfetta affilatura delle lame saper perfettamente dosare il grado di sforzo sulle lame ed il conseguente carico sul motore: un avanzamento troppo lento era negativo in termini di resa, avrebbe provocato oltre ad un notevole rallentamento del lavoro anche un inutile usura delle lame e consumo di corrente, un avanzamento anche minimamente troppo veloce avrebbe provocato oltre al continuo rischio di sbandamento laterale nel taglio anche l’inesorabile rapido riscaldamento del motore ed obbligo interruzzione dell’operazione. Era un equilibrio precario e difficile da stabilire e continuamente messo in discussione da innumerevoli varianti ed imprevisti che solo l’esperienza permetteva di gestire.
Bisognava cogliere i cambiamenti di suono delle lame nel legno e quello delle cinghie di trasmissione che sottoposte a troppo sforzo potevano”sbattere” o coglierne il lieve cigolio dello slittamento, bisognava continuamente osservare la linearità e la mancanza di deviazioni nel taglio, controllare eventuali formazioni di fumo o pressioni troppo elevate della lama sui supporti e mai tralasciare di controllare l’amperometro, assistente indispensabile e fedele nel controllo della potenza assorbita dal motore. Tutte queste varianti rendevano complicata quella che per i profani appariva una manovra semplicissima, la lenta rotazione manuale della manovella di avanzamento del carretto porta tronchi. Era una organo come già detto realizzato in modo artigianale con i mezzi che aveva a disposizione il nonno ai suoi tempi. Si trattava praticamente di un volano o meglio di un volante circolare di legno collegato da una semplice catena da bicicletta ad un rudimentale riduttore collegato a sua volta all’assale delle ruote a cui traferiva il moto.
La velocità di avanzamento del tronco era appunto data dalla rotazione manuale del “volante”, l’operazione era effettivamente facile quando si trattava di tagliare un tronco piccolo o quando si arrivava verso la fine del taglio di un tronco cioè quando il carretto non più gravato da grossi pesi diventava così facilmente governabile ma era ben diverso invece quando a causa del peso sul carretto il volante diventava rigido e duro da girare. Per di più la rotazione doveva essere uniforme e regolare, senza accelerazioni e contraccolpi per cui la “guida” richiedeva non solo una certa forza ma anche molta attenzione. Ricordo che quel giorno mio padre dovette tagliare le prime “fette” del tronco aiutandosi nell’avanzamento con una tavola di legno appoggiata sulla spalla con cui ruotando il volante faceva contemporaneamente leva sulla traversa del carretto
per imprimergli il movimento.
Ricordo che rimasi incredulo ed immobile un attimo quando, superata la sezione massima di taglio e la riduzione del carico ormai notevole, mi affido il volante, incredulità che, come potete facilmente immaginare, lasciò rapidamente il posto ad un orgogliosa gratitudine. “Va bele pian, beica sempre l’amperometro, cuntrola sa va dric, su iè chic incuvenient ed ferme ed ciome, nui anduma a beive chi cos”(“Vai piano, controlla sempre l’amperometro, guarda che vada diritto, se ci sono inconvenienti fermi e ci chiami, noi andiamo a bere qualcosa”).
In quel momento ero molto di più di capitan Nemo alla guida del Nautilus. Il gigantesco tronco venne tagliato, finimmo l’indomani verso mezzogiorno, le tavole erano molto belle, perfettamente tagliate nel giusto spessore, solo un paio presentavano dei tagli irregolari e deviati dovuti all’usura nella affilatura delle lame, una quantità più che accettabile, tavole così pesanti che, per poterle spostare all’aperto dovettero trascinarle con delle funi legate al trattore e per caricarle sul rimorchio ricorrere all’aiuto di alcuni volontari. “Tant rivò a ca aiuma ed mac da fei sghie zo“(“Tanto, arrivati a casa,abbiamo solo da farle scivolare giù”)
Eravamo tutti molto soddisfatti ed orgogliosi: “Eh Tavio, lo ca tove dite, me al sova che tli taiove, tei dabon in artista“(“Eh Tavio, cosa ti avevo detto, io lo sapevo che lo tagliavi, sei davvero un artista”) “E poi es fanciuten, a la dome propre na bela man, a lè prope an gamba“(“E poi questo ragazzino ci ha dato proprio una grossa mano, è proprio in gamba”)
E poi dicono la Felicità! , non è che ci voglia poi molto.