Mio padre e mio nonno prima di lui erano artigiani, erano “caradur” (Fabbri- carradori).
Un attività ben distinta , delineata e all’epoca molto considerata, costruivano quei magnifici carri agricoli che per secoli e ancora all’inizio del XX secolo erano unico mezzo di trasporto nelle nostre campagne e che si possono ormai ammirare in qualche museo o nei giardini di qualche bella villa, anche se nelle nostre aziende agricole se ne possono trovare ancora molti esemplari conservati con cura, sia per ricordo che testimonianza del nostro prezioso passato.
Sicuramente per l’inesperto che li vede appunto in qualche esposizione è molto difficile intuire la mole di lavoro, l’impegno, la finezza del progetto e le notevoli difficoltà nell’esecuzione superabili solo con una grande abilità artigianale, che quei carri rappresentano, non è semplice nemmeno per me che coltivo l’hobby della falegnameria e del restauro.
Quindi quella del “caradur” era una vera e propria arte, come detto, molto stimata all’epoca e particolare perché comportava la conoscenza di più attività che coniugandosi e compenetrandosi si amalgamavano in una sola.
Un lavoro quindi con una propria precisa connotazione, il “caradur” si distingueva sia dal “fre” (fabbro) che dal “meis da bosch”(falegname) ma contemplava una totale padronanza di entrambe le attività che nella realizzazione del carro si confondevano e compenetravano
Un attività che contemplava essere progettisti, falegnami e fabbri provetti, tornitori, fresatori e soprattutto grandi esperti del legno e dei suoi comportamenti. Una venatura non vista, un nodo, una fibra nervosa bastavano a compromettere gravemente la robustezza e funzionalità di questi carri.
Bisogna infatti considerare a quali pesanti prove e sollecitazioni questi carri venivano sottoposti per decenni , con carichi improbabili sotto pioggia e sole su strade sconnesse e piene di buchi, in pendii ripidi e fangosi.
Io resto ogni volta gioiosamente stupito nel vedere lo stato di notevole conservazione di qualche esemplare scoperto nelle nostre cascine, meravigliato dalla loro funzionalità praticamente intatta.
Un artigianato quindi decisamente eclettico, per questo in realtà nei laboratori come il nostro, anche se l’attività base era quella del “caradur“si faceva un pò di tutto, ovviamente soprattutto nell’ambito dell’attività contadina, “Arò, Erpe, Rulo, coine da sciapè el bosch, pich, sope, sapon, furcò, ghigette, gabbie da cunii ecc ecc”(Aratri, Erpici, Rulli, Cunei per spaccare il legno, Zappe piccole e grandi, Tridenti, Punte da muratori, Gabbie da conigli, ecc ecc) ma anche per l’interno delle case e per attività femminili “Capilorie, pulentere, mattarelli, as per fe la pasta, mole e varie per stive, cuerc ecc ecc” (Taglieri, Tavole circolari per la polenta, mattarelli, tavole per fare la pasta, molle e attrezzatura varia per le stufe, coperchi ecc ecc)
E resta da dire che di lavoro all’epoca doveva essercene davvero tanto se penso che nel vecchio laboratorio insieme al nonno e papà lavoravano altri tre figli e due dipendenti e che era talmente conosciuto in zona da farne un punto di riferimento geografico. Per anni infatti sulle cartine geografiche la borgata bubbiese era segnalata non come, attuale denominazione, “reg. Giarone” ma come “Cadbecon”( casa Beccone.)