Langhe- Monferrato: Reg. Giarone N. 11 Bubbio (Asti)
Una borgata di poche case fra cui la mia.
La mia borgata nella mia infanzia: El Geiron (Regione Giarone)
La mia casa, di cui attualmente metà esatta impegnata nell’Affittacamere Ca d’ Becon, si trova a Bubbio (AT) nelle Langhe- Monferrato in Regione Giarone n. 11 dove io sono nato, cresciuto e dove ancora adesso vivo con la mia famiglia.
Quindi è ovvio che gran parte dei miei ricordi d’infanzia sono legati a questo luogo e alle persone che hanno scandito, segnato e la mia crescita.
Persone normalissime, umane con i loro pregi e con i loro difetti, con i soliti problemi di tutti, situazioni e tensioni famigliari, come tutti pieni di dubbi ed incertezze.
Ma la stupenda , temporanea capacità di un bambino è quella di non dare peso ed andare oltre a frasi sentite, a mezze verità riportate in discussioni fra amiche, critiche più o meno velate, la stupenda capacità del bambino, perlomeno nell’epoca in cui lo sono stato io è quella dell’affetto totale, della fiducia incondizionata , della mitizzazione di un gesto di cortesia, di un sorriso, di una concessione emotiva o effettiva.
Da adulti ci si rende purtroppo conto, con rammarico, che il nostro era un amore ingenuo, senza riserve, domande o dubbi, ci si rende conto che quelle persone le avevamo mitizzate, innalzate su di un piedistallo irreale, su un livello superiore e con una sorta di dolorosa indagine tardiva ce ne rendiamo conto.
Ci accorgiamo di quante volte quella loro perenne gentilezza e disponibilità nascondeva conflitti interiori ben lontani dalla loro soluzione, patemi d’animo, nevrosi, sofferenze più che giustificate.
Eppure tutto questo nulla toglie alla intensità dei nostri ricordi affettivi rimasti intatti, conservati e protetti in qualche urna segreta della nostra spiritualità.
Il cambiamento
Al di là della analisi oggettiva sull’ingenuità come principale componente affettiva del ricordo resta da dire che la borgata è realmente cambiata, che il cambio generazionale con i suoi vantaggi e le sue storpiature l’ha cambiata profondamente nelle sue radici.
Ai miei tempi non c’era nulla, solo un paio di famiglie nella borgata aveva la televisione, lo stare insieme, la comunicazione verbale, l’incontro, il frequentarsi assiduamente era l’unico sistema per restare “aggiornati” e dare un senso al proprio tempo.
Ora l’informazione pressante dei mas- media con le sue innumerevoli fonti, i giornali, la rete web, i Social, lo starci dietro, il seguirne i continui repentini cambiamenti per rimanere in corsa ci condannano a priori ad un forzato isolamento. Lasciamo il lavoro, arriviamo a casa con l’anelito ansioso di aggiornare il profilo Facebook o postare le foto su Instagram o Pinterest ect ect , come possiamo avere ancora spazio per il vicino di casa??
La stridente assurdità è proprio quella di non comunicare più realmente con il vicino della porta di casa per correre a farlo con la medesima persona su Messenger.
Comunque ripensandoci, adesso con il senno del poi mi rendo conto immediatamente di due cose, la prima di quanta pazienza, comprensione e tolleranza avessero con noi bambini gli abitanti della borgata in cui vivevo. La seconda è direttamente collegata, cioè di quanto sia cambiata la società, la mentalità e quindi la gente in poco più di mezzo secolo. Se il medesimo cambiamento fosse stato, per magia, improvviso sarebbe come trovarsi sparati in un mondo sconosciuto, inquietante ed ostile.
Sono trascorsi poco più di 50 anni ed io vivo ancora nella stessa casa e nella stessa borgata, eppure non è più la stessa borgata. Una di queste sere mi sono soffermato ad elencare i cambiamenti oggettivi che ci sono stati in questi anni nel bisogno intrinseco di trovare, spiegare, capire i motivi di un simile cambiamento.
E’ una specie di malessere che mi assale di tanto in tanto, di notte, ad ora abbastanza tarda, quando insonne dopo un girovagare per la casa inquieto ed inutile, mi fermo appoggiato sul mio davanzale di castagno a guardare fuori dalla finestra. La parte della borgata che vedo mi restituisce come uno specchio l’immagine dell’intero con nitida chiarezza.
Eppure fisicamente non è cambiato molto, le case sono sempre le stesse, si qualche ristutturazione della facciata, qualche tetto nuovo, le antenne satellitari Tv, qualche albero in meno, ma in fondo l’immagine complessiva è quasi la stessa e se, di notte, i lampioni sempre accesi consentono solo al ricordo d’ immaginare le case immerse in quel lontano buio infantile fatto di sicurezze e paure, di giorno la fila di case poste ai due lati della strada è tale e quale.
Eppure nulla è più come allora,”abbiamo messo sacchi di sabbia davanti alle finestre” cantava Dalla. Quando ero un bambino nella borgata non c’era una sola porta chiusa a chiave, ogni casa era la propria e di tutti ed era un continuo spostamento da una dimora all’altra, con quella stupenda tranquillità che nasce dal non dover dimostrare niente.
Adesso nell’assurda mentalità dell’apparire, per ricevere persone bisogna avere la casa esemplare, perfettamente pulita, in ordine assoluto. La priorità non è lo stare insieme ma essere sicuri di aver fatto “bella figura” in modo che sia garantita, nei commenti dell’indomani, fra i vicini e conoscenti la frase tipica”ed vughise, ha ja na ca!!!” (“vedessi, che casa stupenda“).
Soddisfatta questa vitale esigenza esistenziale, il resto ha importanza relativa. La casa usando una parola adesso tanto in voga è uno status symbol come l’auto o il vestito. è una vetrina da mostrare non un luogo dove vivere
Questo è solo uno dei motivi per cui adesso si entra in casa girando immediatamente la chiave nella porta, con la speranza che nessuno venga a suonare, col rischio di essere sorpresi con qualche intollerabile imperfezione, che so un ragno in un angolo, un pelo di polvere sullo spigolo di una mensola, un pelo di gatto infilato sotto il gambo del tavolo.
Poi ci sono tutti gli altri aspetti della modernità già accennati, in primis la mancanza di tempo, alla sera abbiamo tutte quelle cose da fare che la schiavitù del danaro e quindi il lavoro non ci consentono di giorno tra cui appunto quella di tenere la casa perfetta per ricevere quelle visite che poi speriamo non avvengano.
Anche perché le visite reali degli amici ci priverebbero di quelle virtuali e “vitali” degli amici che abbiamo su Facebook, Twitter, Pinterest, chat varie e tanti altri.
Quando ero bambino ogni casa aveva la sua famiglia, ma la borgata era la famiglia di tutti, uniti dalla stessa volontà di sostenere, coltivare e proteggerne i componenti ed il sapere tutto di tutti aveva la stessa positiva valenza, adesso ad una decina di metri uno dall’altro siamo tutti estranei, il menefreghismo, l’invidia, la condanna regnano sovrani.
Per carità “orso” come sono diventato a me sta bene. Le contingenze esterne indipendenti da me hanno solo acutizzato una esigenza probabilmente intrinseca che di sicuro non ho fatto nulla per ostacolare ma che ho lasciato alimentarsi e crescere da sola
Eppure mi manca la mia borgata, quella di una volta dove esistevano visi noti che in modi diversi comunque amavo, visi di chi comunque faceva parte della tua vita, visi rassicuranti, preziosi, vitali, visi da cercare se passava un pò di tempo senza vederli, nomi importanti, tutti indelebili nella mente ma forse, ancora più della loro presenza fisica, in realtà la cosa che più mi manca è quel me stesso che stava così bene con loro.
Questa forse è la vera chiave di lettura della mia malinconia, certamente il rimpianto è per quei volti che amavo con la spontaneità e la fiducia del bambino ma il vero rimpianto è per quel me stesso pieno di speranza nel mondo colmo di sicurezze che mi circondava, basato sulla sensibilità intrinseca dell’infanzia scevra da giudizi, condanne o assoluzioni.
Ma al di là di questa infantile idealizzazione e ancora puro coinvolgimento emotivo resta il fatto obbiettivo, concreto e tangibile che il mio microcosmo è davvero cambiato, che effettivamente si sono rovinati temo per sempre equilibri, semplicità di rapporti, senso di solidarietà e fiducia reciproca, desiderio di stare insieme, di condividere.
Una comunità forse un pò trasandata e rassegnata ma unita, accogliente, calda che ha lasciato il posto ad una comunità più informata, evoluta ed efficiente, programmata da ogni punto di vista, quasi asettica ma di conseguenza freddina, riservata e disillusa a priori