Langhe-Monferrato: Bubbio(AT): Regione Giarone
Figure della mia infanzia: Arturo el mulinè (Il mugnaio)
Tutta la mia infanzia l’ho trascorsa a Bubbio, piccolo paese della Langa Astigiana, nella borgata Giarone, un gruppetto di case disposte su due file che seguono nel suo percorso la strada provinciale Asti- Alessandria .
Qui ancora vivo ed abito con la mia famiglia nella grande casa costruita negli ultimi anni del 1800 dal nonno di cui una metà abbiamo destinato alla realizzazione del nostro piccolo affittacamere.
Del ovvio legame con questo luogo e dell’indelebile ricordo che porto nel cuore delle persone che qui hanno accompagnato e partecipato alla mia crescita ho già avuto modo di parlare.
Arturo, el mulinè (Arturo, il mugnaio)
Arturo è un altra di queste figure indelebili, era il gestore del vecchio mulino vicino a casa mia, a meno di cinquantina di metri di distanza, sullo stesso lato della strada provinciale era perfettamente visibile dalla nostra cucina fino al momento in cui Stevo e Duina hanno fatto costruire la loro nuova casa nel pezzo di terreno che separava i due edifici e che ospitava un vecchio portico aperto.
Una specie di muro di Berlino altissimo, lunghissimo, bianco, senza finestre che ha per sempre precluso il nostro libero sguardo sull’orizzonte e condannati su quel lato ad una nebbia fitta, inesorabile e perenne.
I miei contatti frequenti e continui con Arturo erano legati a due precise realtà, la prima dovuta al fatto che era lo zio di Marialisa e di Coscè(Josè), nati in Argentina e trasferitisi ancora piccoli nel mulino con la madre Rita rimasta vedova giovanissima.
La vicinanza di luogo e di età (Marialisa un anno in più, Coscè quattro)avevano ovviamente cementato la nostra amicizia. La seconda era invece dovuta all’amicizia sicuramente non meno solida fra Arturo e mio padre.
Era una consuetudine durata anni quella trovarci periodicamente e alternativamente da loro e da noi per la classica partita a carte. Quelle sere ero felice, stavo bene con quelle persone e poi Rita, cuoca molto abile ci faceva sempre trovare qualche novità, come dimenticare le sue nocciole inzuccherate, le torte, i marron glasè.
Il ricordo più vivo di Arturo è proprio legato a quelle dolci sere, si giocava a briscola e più sovente a Escartè, a coppie fisse, sempre lui e Marialisa ed io con mio padre.
Era un giocatore incallito, bravo come il pane, ma che non amava perdere. Marialisa giocava bene ma riusciva molto meno di me a mantenere la concentrazione in mezzo alle nostre continue chiacchere e risate per cui gli errori erano frequenti.
I rimbrotti dello zio, i suoi simpatici sbuffamenti, i cenni di disapprovazione, i caratteristici, fantastici suoi stranulamenti servivano solo a peggiorare il gioco della nipote e a rallegrare ancora di più l’atmosfera generale.
L’altra immagine chiara di Arturo è quella di quando era al lavoro, piccolo di statura, con pochi capelli bianchi, i baffi pure bianchi, con in testa una di quelle berrette morbide con la visiera rigida,completamente ricoperto di farina era un tutt’uno con l’ambiente, una parte, un prolungamento, un accessorio del mulino.
Dava così l’idea di compenetrazione con il suo mulino che era difficile immaginarlo fuori da quel luogo, come se lo si dovesse sradicare per dargli la possibilità di avere una vita propria, privata parallela ed indipendente da quel suo mulino e da quel suo lavoro che era la ragione della propria esistenza.
Un altra immagine che ho in testa come un flash è quella di Arturo, giocatore di bocce. A quei tempi era abbastanza frequente nella nostra borgata la partita a bocce il sabato e la domenica sera.
Vigio dl’Ambros, altra figura mitica, aveva, non so come, una dozzina di bocce francesi da petanque, piu piccole delle solite italiane e quindi perfette per noi ragazzini. Organizzava spesso sfide “all’ultimo sangue”.
Bene, Arturo era il giocatore più anziano ma anche il più bravo, ad ottantanni suonati, se il tiro non era troppo lungo, faceva ancora delle bocciate al “truc”(cioè con la boccia che rimane al posto di quella espulsa) fantastiche che raccoglievano il plauso degli altri giocatori. “Eeh, Arturo te tei na spona sura” (eeh Arturo tu sei una spanna al di sopra) diceva Vigio ammirato.