Langhe- Monferrato: Arti e mestieri scomparsi
Arti e mestieri scomparsi: Cadbecon: Il fabbro- carradore
Quando il carro agricolo era un simbolo di distinzione sociale
A proposito della suggestiva attività del carradore, letteralmente costruttore di carri, esercitata nell’attuale laboratorio annesso al nostro piccolo affittacamere a Bubbio, per due generazioni, da mio padre e prima di lui dal nonno ho già accennato nel mio precedente articolo “caradur”.
Di come mio nonno avesse cominciato ad esercitare questo antico mestiere non ho che nebulose e confuse notizie, un pò per effettiva mancanza di qualsiasi documento, un pò per la reciproca e congenita ritrosia, di mio padre e mia a lasciarsi andare a confidenze, racconti e spiegazioni.
Da quel poco che ho potuto capire sembra che il nonno dopo una brevissima esperienza come garzone ed apprendista presso qualche mestierante si sia messo in conto proprio e che sia stato più che altro un autodidatta sorretto da una grandissima passione.
Purtroppo i, già di per sè, malridotti avanzi di registri, quaderni, libri e raccolte scientifici dell’epoca, cioè primo 900, sull’attività di nonno Becon sono andati in gran parte per incuria e mia fanciullesca negligenza irrimediabilmente persi.
Infatti ricordo essermi passati, da bambino, fra le mani diverse volte. Allora purtroppo non avevo ancora il senso della loro importanza soprattutto affettiva per cui non ho avuto quel minimo di lungimiranza per proteggerli e salvarli.
Il nonno doveva essere stato per prima cosa uno che, a scuola, se la cavava bene e in seconda analisi uno che leggeva e si documentava molto su tutti gli aspetti che caratterizzavano un attività, come ho già detto, molto specialistica che richiedeva oltre ad una notevole abilità manuale anche una buona preparazione generale con basi di aritmetica e geometria ed una approfondita conoscenza delle caratteristiche dei due materiali impiegati nella costruzione cioè il ferro e il legno.
La realizzazione di uno di quei carri che oramai capita solo più di ammirare in qualche giardino curato di una villa, in qualche museo o al limite in qualche fattoria dove molti eredi li hanno conservati soprattutto per un legame affettivo collegato a ricordi ed epoche remote era davvero un opera d’arte.
Posso fare questa affermazione in tutta obbiettività grazie alla mia conoscenza dei due aspetti principali che sono alle fondamenta del “carradore” e che devono per forza di cose incrociarsi ed amalgamarsi: la lavorazione del ferro e quella del legno.
La prima la devo agli studi e ai sacrifici di mio padre e non minori di mia sorella che me li hanno consentiti, quelli di perito matalmeccanico con la successiva lunghissima esperienza presso l’attrezzeria meccanica dove ho lavorato per 35 anni, la seconda quello del legno alla grande passione sicuramente cromosomica che mi ha spinto a spendere gran parte del mio tempo libero alla coltivazione dell’hobby di falegnameria e di restauro.
Già da anni vaneggio nell’idea di cimentarmi nella realizzazione di un carro in miniatura, scala diciamo 1:3, più che altro per dimostrare a me stesso di essere all’altezza dei miei avi (pia illusione) ma soprattutto per una specie di “déjà vu”, di ritorno al passato e ripercorso del lavoro con tutti gli annessi e connessi che comportava e tutti i problemi che loro si trovavano ad affrontare.
Bene, confesso anche di aver cominciato ma la difficoltà dell’impresa e soprattutto la straordinaria mole di lavoro che comporta, insieme all’improbabilità di un vero successo mi hanno totalmente convinto a rinunciarci, e notare che io sarei comunque partito da un modello cioè con un carro da visualizzare e da cui ricavare misure e dettagli e che senza falsa modestia a detta di tutti quelli che mi conoscono ho la fama, probabilmente immeritata, di essere uno abbastanza bravo.
Unica mia parziale scusante l’intenzione di realizzare l’opera con gli strumenti a disposizione nel primo 900 cioè all’epoca del nonno, infatti se è vero che sono stati già stati realizzati carri in epoca recente è anche vero che si è comunque fatto ricorso a strumenti e macchine di lavorazione moderni, e di prodotti di grande aiuto come la colla vinilica (mio nonno non faceva uso di colle che ha poi iniziato ad utilizzare mio padre)
Insomma tutta questa tiritera per ribadire il concetto che quella del “carradore” era un attività di alto livello tecnico e di indiscutibile professionalità tant’ è vero che era riconosciuta e stimata da tutta la popolazione che vedevano in personaggi come mio nonno e mio padre non solo dei veri e propri “maestri” ma anche persone su cui fare affidamento e a cui essere grati al di la del lato economico per il loro lavoro.
Per il contadino il carro era tutto, l’indispensabile, principale strumento di lavoro, il carro per andare nel campo o nella vigna a caricare, per portare il fieno sulla cascina, il grano per la burla e poi per il mulino per trasformarlo in farina per il pane, la legna nei boschi per scaldarsi d’inverno, senza il carro la sua attività era finita.
Quindi se decideva quello che, per lui, era un investimento economicamente molto pesante a quei tempi voleva essere sicuro di affidare il compito a persone non solo abili ma soprattutto eticamente corrette e di sicura fiducia “Me cal fuma es car?” (come lo facciamo questo carro).
Questa il più delle volte la risposta: “Me un m’anteresa nent cu sia bel, l’impurtant cu sia rubust e cu dura“(a me non interessa che sia bello, l’importante è che sia robusto e che duri).
Quante volte ho sentito mio padre raccontarmi di contadini che si rivolgevano a loro spiegando di aver bisogno di un carro nuovo in quanto quelle vecchio “a lè rivò ancò“(letteralmente è arrivato alla fine) ma di non avere tutti i soldi, se c’era la possibilità di pagarlo poco alla volta.
“Ad dag n’acont, poi quand ca vend el gran na part e an tla vendemmia sai la fas a finis ed paghele” (Ti do un acconto, poi quando vendo il grano una parte e nella vendemmia se ce la faccio finisco di pagartelo) e mai ricevevano un rifiuto e non tanto per l’aspetto commerciale ma per quel senso di solidarietà, comunanza, condivisione di valori e situazioni di cui si purtroppo così miseramente persa la capacità emotiva.
Il più delle volte il saldo avveniva con un sacco di grano o con una damigiana di vino, un carico di legna da ardere e via di questo passo. E a sostegno dell’affermazione basta dire che ai tempi di mio nonno tra il laboratorio, la vecchia sega da tronchi(attuale accesso all’affittacamere) e l’angolo dove si praticava la ferratura di buoi e cavalli vi erano 5 figli a lavorare e un paio di apprendisti.
Mio padre mi raccontava di come a quei tempi e si sfornasse un carro nuovo alla settimana, eppure nessuno mai si è arricchito tant’è vero che tutti i fratelli di papà sono espatriati in Argentina in cerca di fortuna e solo uno di essi (Carlo) è tornato a stabilirsi nel paese natio.
I miei nonni quei figli non li hanno mai più rivisti, mio padre ebbe la gioia di rivedere una volta in viaggio in Italia il fratello Chele (Michele), la nipote Lena e molto più tardi la sorella Marì.
Le uniche volte, mi raccontava mio padre, che si riusciva a guadagnare qualche cosa di più era quando ad ordinare il carro erano le famiglie più facoltose o i proprietari terrieri del tempo, in questi casi il carro doveva essere oltre che robusto anche bello, infatti rappresentava una sorta di status symbol, un pò alla stregua dell’automobile oggi.
Qui la cura dei particolari diventava d’obbligo, l’estetica ricercata nella fattura con la ricerca dei dettagli quali, una scrupolosa selezione dei materiali, una levigatura fine, la smussatura precisa degli angoli, l’aggiunta di fregi, ornamenti, la stampigliatura preferibilmente a caldo del nome del costruttore e più vistoso quello della casata.
Tutti questa attenzione nei minimi dettagli concorrevano alla realizzazione di un particolare unico che doveva appunto essere simbolo della ricchezza e del potere dell’ordinante. “Beica che bel cor a la fo fe el tol” (guarda che bel carro ha fatto fare il tale)”Ma za, su vò chiel u pò fele fe d’or” (Eh già, lui se vuole può farlo fare d’oro”) il commento dei comprensibili invidiosi
Per concludere: per aver un idea della difficolta e della come si è detto impressionante mole di lavoro che comporta questa splendida attività basta guardare il video seguente sempre considerando che la lavorazione è in questi casi facilitata dalle moderne attrezzature