
Infanzia: Un racconto e un ricordo
Libertà di Caccia: Nono Becon- Un uomo di carattere
Mio padre spesso concludeva i suoi suggestivi racconti legati alla sua famiglia affermando che se, fosse stato possibile capovolgere la situazione ed invertire la sua nascita con quella di suo padre cioè mio nonno Becon, la nostra sarebbe stata una delle famiglie più ricche del paese.
In breve intendeva sottolineare che la situazione economica ed il contesto sociale in cui entrambi avevano a loro modo portato avanti l’attività di fabbro-carradore (e non solo) erano state inversamente adatte al loro rispettivo carattere.
La massima aspirazione e priorità per mio padre, forse anche perchè in parte “traumatizzato” dalla intrinseca esigenza emotiva e perenne tentativo di miglioramento del suo di padre è sempre stata quella di di evitare il più possibile impegni che sarebbero potuti diventare un impedimento al “quieto vivere“, un rischio per la propria libertà ed indipendenza individuale.
Non che se gliene possa farne una colpa anzi, la sua, in un epoca lanciata alla parossistica corsa al danaro come mezzo di affermazione sociale, è stata una scelta quasi “miracolosa” che anticipava i tempi e che dimostrava una attenzione sensibile alla tutela della propria dignità e rispetto dei valori fondanti dell’umanità.
Quindi, secondo me, in tutta sincerità, credo che lui non abbia assolutamente sbagliato a fare l’unica scelta che gli poteva garantire la libertà ed una vita a misura d’uomo.
Fatta questa dovuta precisazione, c’è però da dire che, come tutti sanno, in questa vita, per la legge della bilancia, tutto si paga per cui, guardando solo al lato prettamente economico della questione, questa sua motivata e giusta scelta gli ha però impedito di cavalcare lo “tsunami” della crescita economica del dopo guerra.
In pratica si è automaticamente confinato nella sua nicchia, strettamente legato e fermo al palo; la sua concentrazione estrema nel, come lui stesso diceva, “non cercarsi grane” gli ha del tutto impedito di cogliere e sfruttare decine di opportunità che un attività, da lungo tempo avviata, gli metteva in mano.
Io stesso, se pur bambino, ne ricordo alcune come la proposta del commercio legnami (con una segheria già in attività), la rappresentanza dei rimorchi di una grossa ditta di Milano, l’aiuto economico e logistico di un altra ditta per l’avvio di un laboratorio e annesso negozio di vendita- riparazione utensili taglio legno e via di questo passo.
Così in pochi decenni, senza nemmeno rendersene del tutto conto, si era trovato con un’ attività del tutto finita.
L’avvento dei rimorchi con ruote in gomma aveva ovviamente soppiantato, di punto in bianco, i vecchi carri agricoli con le ruote di legno, trainati dai buoi, che erano stati per secoli l’unico, prezioso mezzo di trasporto per il mondo agricolo. Carri, da un momento all’altro trasformati, da indispensabile ed inseparabile compagno di lavoro in mirabili oggetti d’antiquariato.
Si era quindi per poter sopravvivere sino alla pensione adeguato a ogni sorta di piccolo lavoro, soprattutto riparazioni di attrezzi agricoli, affilature, battitura a caldo di vomeri e via di questo passo.
Non per questo lo abbiamo mai sentito lamentarsi ne ripudiare le scelte fatte, anche negli anni della sua vecchiaia, perfettamente lucido, sino alla fine è sempre rimasto consapevole che per lui ogni altra scelta, anche se gli avesse assicurato una certa disponibilità economica non gli avrebbe concesso di vivere la vita che invece era riuscito a vivere restando povero.
Soltanto, di tanto in tanto, usciva fuori con la solita frase”e se al me post ui sisa stoie me pore” (“e se al mio posto ci fosse stato mio padre”) ma si capiva che lo diceva con il rammarico non per se stesso quanto per il nonno, per tutte le lotte, l’impegno, le fatiche, i tanti tentativi e delusioni che aveva affrontato per cercare di tenere la famiglia unita.
Il suo più grande sogno infatti era quello di assicurarsi quella mole di lavoro e realizzazione economica sufficiente a tenere unita la famiglia, a tenere insieme in un unico nucleo stretto a sè, quegli otto figli che scalpitavano dalla voglia di andare via in cerca di maggior fortuna.
In questo vano tentativo continuava a spendere i suoi risparmi in quella casa che continuamente ingrandiva per alimentare quella sua speranza.
“Eh se ui sisa stoie me pore al me post u’ niva padron ed mez pais” (“eh se ci fosse stato mio padre al mio posto sarebbe diventato proprietario di mezzo paese), una frase che era unicamente un tributo al padre, al doloroso ricordo di averlo visto fallire nel suo sogno e perdere gran parte dei figli emigrati in Argentina.
Ed io credo avesse ragione; il nonno aveva saputo, da contadino, trasformarsi in artigiano, avviando quello che sarebbe diventato un fiorente laboratorio da fabbro carradore dove, per un buon periodo, avevano trovato lavoro tutti i figli più dei saltuari dipendenti, aveva anche avviato, qui a Bubbio, una delle prime segherie da tronchi della zona realizzandola in gran parte a mano (ancora funzionante), l’attuale entrata del nostro affittacamere
Era persino arrivato a realizzare, a proprie spese, un tratto della linea elettrica per avere la corrente necessaria a far andare le attività artigianali. Aveva acquistato una delle prime macchine a vapore per trebbiare il grano per poi sostituirla successivamente con una moderna affiancata dal relativo trattore (a testa calda) raccogliendo moltissimi clienti non solo di Bubbio ma anche dei paesi limitrofi.
Un vero vulcano in perenne ebollizione.
Ma i tempi erano quelli che erano, il bum economico era ancora lontano, la condizione dei contadini era dura, di soldi, in campagna, ne correvano pochi e quei pochi si scucivano ovviamente malvolentieri, spesso i lavori venivano pagati a rate o in natura con grano, frutta, vino ect.
E purtroppo, a volte, non venivano pagati affatto e poi il nonno come ho già spiegato inseguiva il sogno di poter tenere con se tutti i figli per cui appena aveva due soldi li spendeva in nuovi esperimenti d’attività, nella ristrutturazione della casa o nell’acquisto di terreni limitrofi dove insediare i figli in caso di matrimonio, poi la guerra, alcune speculazioni sbagliate, problemi vari
Insomma mio padre lo aveva sempre visto in perenne difficoltà, sempre alla ricerca di finanziatori e conseguentemente spesso alle prese con debiti e creditori.
E a questo proposito finiva sovente questi sporadici e rari racconti con un aneddoto divertente sul nonno quasi a volerci far partecipi con poche parole di che tempra di uomo doveva essere.
Mio padre, la passione per la caccia, l’aveva ereditata dal nonno anche se, come lui raccontava, in suo padre era decisamente più profonda. D’altronde nonno Becon non aveva altri svaghi e staccare dal lavoro almeno per poche ore, di tanto in tanto, ovviamente era un esigenza vitale.
Bene, durante una di queste sporadiche e brevi evasioni mentre, con alcuni amici, stava perlustrando una vigna dove i cani avevano segnalato la presenza della povera lepre, designata vittima del contesto, si era imbattuto nel proprietario, pure lui, almeno sulla carta, un amico.
Della serietà e totale fiducia sulla parola del nonno non esisteva in tutto il paese il benchè minimo dubbio, dei continui investimenti, al di là del fatto che fossero o meno indovinati di Becon molti sapevano così come dell’abitudine del nonno di chiedere finanziamenti in giro e di farsi prestare piccole somme di danaro dai più facoltosi. Sapevano però altrettanto bene che mai nessuno ci aveva rimesso nemmeno un centesimo.
Probabilmente il contadino, senza vera cattiveria, deve essere stato infastidito nel vedere il nonno andare tranquillamente, con il fucile in spalla, a zonzo per la campagna e per di più a casa sua.
Si deve essere sentito in dovere di esternare i propri pensieri e sentimenti “Eh cor el me Becon, second a me, invece che andè a cocia con gli amis, u sareiva mei che te steise a ca a travaie per vughe se te riesce a paghe i debit che toi an gir” che tradotto in italiano significa “E caro il mio Becon, secondo me, invece di andartene in giro a caccia con gli amici, sarebbe meglio che te ne stessi a casa a lavorare per vedere di pagare i debiti che hai in giro”.
Gli amici del nonno di cui conoscevano molto bene il carattere ebbero un momento di panico temendo una reazione troppo energica da parte dell’apostrofato.
Invece Becon non rispose nemmeno, scaricò il fucile, se lo mise a tracolla e poi rivolgendosi al creditore gli disse tranquillamente “Fome ed mache in piasì, garantisme che o que o a ca tua inco a pos truvete, suma d’acorde? Que i ian senti tuc” (Fammi solo un piacere, devi garantirmi che oggi, qui o a casa tua, posso trovarti, siamo d’accordo? Qui hanno sentito tutti).
Il nonno salutò i compagni cacciatori e si diresse a rapidi passi verso casa, il tempo di posare fucile e cartuccera, di cambiarsi d’abito e ripartire in direzione della casa di un altro amico.
Poco più di tre ore dopo, il nonno si presentò a casa del creditore dove gli saldò il suo debito “Bon, ades tei a post, se ti in vughe a cocia an gir, a meno ca sia an ca tua, cosa ca pens prope nent, toi pi niente da truve da di” (bene, adesso sei a posto, si mi vedi in giro a caccia, a meno che non sia in casa tua, cosa che non penso proprio, non hai più niente da ridire).