Giancarlo, “Il Peli”: Un personaggio ed un caro amico
Giancarlo ( allora non si chiamava ancora Peli) aveva fatto con me le scuole elementari, dalla prima alla quinta, non era bravo a scuola, i risultati erano davvero scarsi ma non perchè fosse poco intelligente, anzi, forse lo era troppo, sicuramente troppo sensibile.
I risultati a scuola erano deludenti per il semplice motivo che lo studio non gli piaceva e non lo interessava, perlomeno fatto in quel modo
La nostra maestra apparteneva ancora alla categoria degli insegnanti vecchio stampo, quelli che avevano vissuto la guerra, il fascismo, la resistenza. Santa donna per carità, che svolgeva il suo lavoro con impegno e dedizione ma ovviamente dalla introspezione e conoscenze psicologiche praticamente nulle.
Non aveva forse saputo o potuto cogliere che, nel rifiuto dello studio e di ogni tipo di imposizione di Giancarlo, c’era soprattutto un forte disagio nato probabilmente in seno alla famiglia come spesso succede senza intenzionalità e precisa volontà di nessuno. Una protesta confusa, una mascherata richiesta di aiuto, un bisogno di affetto e ancora di più di un attestato di fiducia a priori.
Sovente veniva richiamato, sgridato, ammonito. Diverse volte veniva trascinato, nel senso letterale del termine, in castigo, dietro la lavagna o in un angolo dell’aula.
Dopo le elementari, abbiamo frequentato insieme il primo anno delle medie, a Monastero Bormida, poi lui, visto appunto i risultati, aveva tralasciato gli studi e iniziato a lavorare come meccanico in una piccola officina del paese.
Per qualche anno ci siamo frequentati pochissimo, quasi persi di vista, poi suo padre aveva intrapreso una piccola attività come produttore di borse di plastica, Giancarlo, sospesa l’attività di meccanico, gli dava una mano ed il sottoscritto era stato assunto nel periodo estivo delle vacanze scolastiche come dipendente occasionale.
Per 3 anni Giancarlo ed io diventammo inseparabili. Tutto il giorno sul lavoro, nella pausa pranzo al bar a giocare a carte, o decisamente più spesso a casa mia a giocare a ping- pong, o in giro in moto o per funghi, alla sera di nuovo insieme con gli altri amici del paese.
Anche l’unica volta che sono andato in vacanza in campeggio al mare ero con lui, giornate stupende, quanti ricordi.E’ il periodo in cui l’ho visto più sereno, solo qualche volta mi faceva quelli che per me allora erano “strani ed insignificanti” discorsi sulle nostre diverse possibilità di rimorchiare ragazze.
Non avevo mai considerato, nemmeno una volta, che potesse ritenersi “brutto“; solo adesso mi rendo conto che effettivamente il suo aspetto fisico poteva creargli un senso d’inferiorità. Piccolo di statura, piuttosto tarchiato, incassato nelle spalle, con il mento così prominente da valergli, in prima gioventù, il soprannome di “il Pellicano” modificato poi da noi amici in quello più carino di “Peli” effettivamente non si poteva di certo definire un adone.
Però obiettivamente con la sua verve, la sua incredibile simpatia, e la sua sensibilità al di sopra del comune poteva colmare ogni altra eventuale deficienza. Poi di nuovo due anni, strade separate, fino alla festa di leva.
Nei nostri paesi e ai miei tempi era una festa molto importante e sentita, una specie di iniziazione, il timbro al passaggio all’età adulta, durava più di un mese con i coscritti impegnati in balli, canti, luculliane mangiate e solenni sbornie, fino al giorno ufficiale di chiusura (si fa per dire).
Il giorno di chiusura era il corollario e momento clou della festa con tanto di messa in chiesa, pranzo con i genitori e autorità varie, e gran ballo serale con dolci e spumante offerti a tutti i partecipanti.
La leva è stato l’ultimo periodo vissuto in allegria insieme poi le nostre strade si sono definitivamente divise. Ci incontravamo ancora di sfuggita, qualche volta al bar, un aperitivo insieme, poche parole quasi sempre a rivangare vecchi tempi
Si vedeva che non era sereno, che cercava di celare un tormento, una qualche dolorosa pena che la sua riservatezza gli impediva di esporre. Solo più tardi mi sono reso conto di quanto sono stato meschino a non tentare con cortesia e tatto di scoprirne le radici.
Anche in quel contesto come in tante altre occasioni ho dimostrato il mio egocentrismo e calcolata indifferenza, così pieno di me stesso da uscire, ogni volta beatamente auto- giustificato da tutte le situazioni come queste, con quella superficiale boriosità ed ottusa superiorità che mi rendevano refrattario a tutto ciò che non riguardava direttamente i miei personali “interessi”.
Giancarlo era, per natura, destino o condanna un “buono”. Era rimasto nella situazione delle elementari, non aveva ancora trovato risposta a quel bisogno di amore e comprensione che gli gridava dentro.
Non aveva più i vecchi amici in gran parte pieni di nuovi impegni o legati sentimentalmente, non aveva avuto la fortuna di trovare una compagna in grado di apprezzarne l’indiscutibile valore umano, il grande potenziale affettivo.
Era ancora, più di prima, solo, e la solitudine quando si accompagna al senso e al bisogno d’amore ha un potere devastante.
Peli,all’età di 40 anni,ha caricato a pallettoni il suo amato fucile da caccia e si è tolto la vita.
Forse un giorno sarò chiamato a rendere conto di non averlo saputo aiutare.