La balia o nutrice
Ai nostri giorni, grazie all’invenzione del latte in polvere artificiale, non è più un grosso problema per una mamma allevare il proprio figlio anche quando, per un motivo o l’altro non può allattarlo. Rimane comunque un dispiacere e comporta qualche riscontro negativo ma non pregiudica appunto la sopravvivenza del bimbo.
La stessa situazione solo un centinaio di anni fa invece era molto più seria, non esistevano appunto latti artificiali specializzati e spesso i neonati reagivano male, con vari problemi, a quello di capra a cui normalmente si faceva ricorso in questi casi.
Così era abbastanza diffusa l’abitudine di far allattare i neonati ad una nutrice cioè ad altre mamme in esubero di latte per le quali diventava sovente una sorta di lavoro e la maniera di racimolare qualche soldino.
Il “lavoro” a volte veniva eseguito a domicilio, insieme alla mamma, ma sovente, per vari motivi logistici o di altro genere era il bimbo ad essere trasportato nella casa della persona di fiducia e lasciatogli in custodia.
E non era raro che, per qualche ragione particolare, come per esempio problemi di salute della mamma il bimbo venisse affidato alla “collaboratrice” anche per qualche settimana
Ancora più diffusa, legata sia alla situazione di miseria e alla facilità con cui si sfornavano figli a quei tempi era l’adozione d’altronde ancora praticata adesso solamente che le distanza erano per ovvi motivi molto più contenute. Adesso per adottare un bimbo si va in Africa o in India, allora bastava andare nel più vicino orfanotrofio o addirittura a volte erano i genitori stessi che impossibilitati a mantenere la famiglia offrivano i figli in affidamento.
Un matrimonio annunciato
Pietro di Pastu, quel giorno di tanti anni fa, era,insieme al padre venuto appunto a segare dei grossi tronchi qui da noi, nella vecchia segheria di mio nonno Becon (scusa nonno, vecchia adesso, lo so che allora era all’avanguardia), tra l’altro loro stretto parente.
Insieme ad altre persone della borgata, Pietro potè assistere alla scena particolare e toccante di vedere Carolina d’Ambros ritornare affaticata a casa sua con al braccio una grossa cesta di vimini con dentro due neonati, un maschio ed una femmina, Cesaren e Zita, “dui vintiren” (due trovatelli.)
Pietro aveva allora all’incirca dieci-undici anni e come tutti i ragazzini di quell’epoca molto ingenuo e riservato.
Non era certamente sua abitudine ma, quel giorno, rimase così affascinato dalla bellezza della bimba che disse, tutto di un fiato a Carolina: “Che bela ca lè “ca la fosa cherse ben che quand ca sarà grand a la spus” (“Che bella che è, la faccia crescere bene che quando sarà grande la sposo”)
La frase pronunciata all’improvviso con foga e calore provocò la sorpresa e l’ilarità dei presenti che si misero bonariamente a prendere in giro il bambino: “Ma va là fanciuten, et rende man cont ed so che dise, toi apeina 10 an, lo che vore savei ed me ca sarà la vita” (“Ma va la bambinello, non ti rendi nemmeno conto di cosa dici, hai appena 10 anni, cosa vuoi sapere di cosa ti riserva la vita”)
Quel bambino invece aveva davvero le idee chiare visto che meno di venti anni dopo sposava proprio quella bimba scoperta nella cesta di Carolina