Già, proprio così, ma chi te lo fa fare? Questa è la frase con cui noi ciclisti ci dobbiamo più spesso confrontare, la incontriamo in famiglia sbattuta in faccia dalla moglie quando torniamo a casa affaticati e con il viso un pò stravolto che ci sta aspettando per andare al supermercato.
La troviamo fra gli amici che non capiscono come mai, invece della poltrona o del dondolo pomeridiano, dobbiamo saltare sulla sella per tornare la sera distrutti.
La dobbiamo sopportare sciorinata dal capoufficio a cui spieghiamo che non possiamo andare a giocare a tennis appunto perchè dobbiamo andare in bici.
La incrociamo al bar del paesello mentre stiamo parlando con un altro amico con la stessa nostra passione e si avvicina il “sedentario” di turno a propinarcela con lo sguardo ironico ed evidente compassione.
Ma tutti questi esempi lasciano il tempo che trovano e non scalfiscono mimamente la nostra determinata passione.
La frase indagata assume tutta un altra gravità e un suono completamente diversa quando ci viene rifilata da noi stessi, anche se magari in un momento di disperazione, infatti non so voi ma io mi sono trovato tante volte a ripetermela per parecchie volte, anche in un breve lasso di tempo, quelle volte che accettando l’invito di un amico ho partecipato a raduni e tour ciclistici più o meno organizzati di gruppi di ciclisti molto più allenati di me.
Per carità tutte persone nel rispetto dell’essenza dello sport di una cortesia squisita, ma ci vuole ben poco a capire che hanno un pò di anni in meno e nelle gambe molti chilometri in più.
Se uno fosse una persona normale metterebbe in pratica quelle scuse che blaterà all’inizio al momento delle presentazioni : “Mi scuso ragazzi ma quest’anno causa una sciatica (senza magari sapere cos’è) sono poco allenato, inoltre ho un brutto raffreddore per cui voi andate pure, io me la prendo con calma, aspettatemi in cima” .
Poi i tipi come me (e ce ne sono per mia fortuna molti) hanno qualcosa dentro di imperscrutabile e incomprensibile, qualche terminale nervoso o più probabilmente un cromosoma, un retaggio legato alla nostra originaria natura per cui in queste occasioni non possiamo esimerci dal gonfiare il petto, percuoterlo con tremendi pugni e cacciare il fatidico urlo di Tarzan.
Ed eccomi, e non poteva essere diversamente circa a metà della salita totalmente “impiccato” nel tentativo patetico di mantenere il passo degli altri partecipanti che intanto chiacchierano tranquillamente fra di loro, ogni tanto fanno un inversione e un tratto in discesa per sentire l’opinione dell’ultimo della fila (cioè io) e con la medesima velocità ritornano a parlare col primo, c’è ovviamente chi fischietta e chi canticchia la canzone vincitrice dell’ ultimo festival.
E tu lì che non sai più che pesci pigliare, i muscoli due candelotti di ghiaccio, le pulsazioni a 180 con il cuore che ti dice “ma allora sei scemo“, con i polmoni che vorrebbero ricevere un minimo di ossigeno, e con il terrore appunto che qualcuno del gruppo si avvicini con la frase d’obbligo “Come va?”.
Terrore si perchè tu non potresti rispondere, forse un rantolo ma non ne sei sicuro, l’unico sollievo gli occhiali neri, almeno quelli nascondono quella maschera penosa in cui si è trasformato il tuo viso.
Ed è allora che qualcuno da troppo lontano o troppo vicino, non lo sai più comincia a ripeterti implacabile “Ma chi te lo fa fare – Ma chi te lo fa fare – Ma chi te lo fare- Ma chi – Ma.”.