Borgata Giarone: Una Via Pal langarola
Ancora adesso, a tanto tempo di distanza, non riesco del tutto a spiegarmi come potevano essere così cortesi, pazienti e disponibili gli abitanti della borgata con quell’io bambino che quasi con diabolica fantasia e coadiuvato da degni collaboratori di tanto in tanto tirava fuori qualche trovata per mettere a rischio la tranquillità della loro vita quotidiana.
Non dico che non ci siano mai stati interventi o contromisure al dilagare della nostra spesso irruente vitalità ma solo quando questa rischiava di mettere a rischio l’incolumità fisica nostra o di terzi
Fra le varie nostre iniziative, mi ricordo che le meno tollerate e permesse erano quelle battaglie che organizzavo fra improvvisate bande rivali sullo stampo di”I ragazzi della via Pal“, in tono minore con non più di due o tre componenti per parte ma non per questo meno reali e pericolose.
In questi casi quando con sassi o frecce scagliate rispettivamente da fionde ed archi qualche volta mandavano in frantumi il vetro di qualche finestra andavano a bollare il pannello in legno di una porta d’ingresso l’intervento degli adulti era deciso ed inesorabilmente convincente sulla convenienza d’interrompere immediatamente il gioco
Sapevo infatti che se non li avessimo ascoltati si sarebbero rivolti a mio padre e l’idea di un suo intervento era più che sufficiente a dissuadermi immediatamente dal continuare.
La trappola ai danni di Felice
A dire il vero alcune volte ci sono state nostre “invenzioni ed iniziative” tali per cui delle persone si sono giustamente lamentate con lui richiedendone il suo interessamento, bene le “malefatte”in quei casi non si sono mai ripetute. Uno di questi che ricordo con estrema chiarezza fu realizzazione della “trappola “per il povero Felice dl’ort. (Felice dell’orto)
Il contadino abitava come mezzadro in una casa conosciuta appunto da tutti come “ca dl’ort“(casa dell’orto), non so il motivo, probabilmente in passato sarà stata sede di un grande orto, che era proprietà come tante altre nel paese della ricca famiglia signorile dei Sizia.
La proprietà era situata al fondo dell’unico appezzamento pianeggiante della zona, nelle immediate vicinanze della stradina che conduce alle salite del Bric Sanpò (Bricco Sant’ Ippolito), subito al di là del torrente “dl’eva marsa ed Casinasc” (dell’Acqua marcia di Cassinasco),
L’uomo che era solito venire nella borgata del Geiron per recarsi al mulino di Arturo o nel laboratorio di fabbro di mio padre o nel negozio di alimentari ed “Pina ed Pasaleva” per sbrigare le sue faccende o per fare acquisti.
Per evitare il giro più lungo e scomodo della strada principale percorreva un sentiero molto più corto che collegava la sua casa alla “punteina ed bosch“(un piccolo e rudimentale ponte di legno) e che gli consentiva di superare il ruscello e accedere immediatamente alle prime case della borgata e poi compiere un altrettanto veloce ritorno alla propria dimora.
In tutta sincerità, l’idea della trappola, questa volta non era stata mia ma di un compagno di giochi che nella mia infantile ingenuità non avevo intuito magari motivato da sue personali ragioni di astio e vecchi rancori nei confronti del malcapitato.
Ricordo anche di avere avuto una sorta di remora ed espresso alcuni dubbi su possibili rischi comunque rapidamente fugati dalle assicurazioni del compagno.Fatto sta che l’opera dopo un breve studio come si dice di “fattibilità” prese rapidamente corpo.
La parte più delicata e “pericolosa” cioè il calcolo dei tempi e l’ora d’inizio dei lavori era stata decisamente facilitata dal fatto che Felice era abbastanza prevedibile essendo di natura nelle sue cose un abitudinario, inoltre potevamo contare su un terzo gregario, più piccolo in età, con il compito di fare da palo ed avvisarci in caso di arrivi prematuri od inaspettati (altre persone a dire il vero attraversavano il ponte).
A metà settimana, il giorno in cui sapevamo che lui era solito attraversare il ponte ci siamo messi a giocare nel cortile antistante la mia casa, dall’altra parte della strada provinciale tanto sapevamo con certezza che Felice, se veniva, sarebbe dovuto passare di lì.
In realtà fingevamo di giocare, l’intrepida attesa e l’adrenalinica agitazione c’impediva infatti ogni possibilità di concentrazione, ricordo che io nutrivo soprattutto nel profondo una preoccupazione ed un inquietudine di cui non coglievo traccia nel mio compagno.
Vedere arrivare Felice fu un tuffo al cuore, insieme sgomento e sollievo, finalmente, se era da fare andava fatto, mi riuscì persino un tirato cenno di saluto, lo seguimmo con lo sguardo, sorpresa quando lo vedemmo, invece di fermarsi nel borgo, proseguire sino al bivio e scomparire sulla strada che sale al paese.
Avremmo avuto quindi più tempo, molto più tempo, piazzare il “palo” innanzitutto: “nasconditi qui dietro il muretto e stai bene attento, corri subito ad avvisarci se arriva qualcuno“
La realizzazione della buca profonda proprio al centro e alla fine del ponte sul verso opposto alla borgata fu d’altronde abbastanza veloce, avevamo già preparato e nascosto vanga e zappa; un pò più lungo e difficoltoso fu il curato,meticoloso e riuscitissimo occultamento della trappola.
Alla fine potemmo constatare di aver eseguito un ottimo lavoro, era del tutto invisibile. A quel punto non ci restava che recuperare il “palo” ed andare tutti a nasconderci in un punto già prestabilito per attendere il ritorno di Felice ed assistere alla sua odissea.
Il problema inaspettato fu che quel giorno Felice era andato in paese per un motivo particolare e specifico del tutto fuori da ogni abitudine, forse una riunione comunale o qualcosa del genere.
Insomma dopo una interminabile attesa fatta di rabbia ed improperi da parte del mio compagno e di tanta malcelata ansia mista ad una confusa sorta di speranza da parte mia mi arrivò la voce di mia madre che mi chiamava per il pranzo.
Questo era un momento sacro a casa mia. I miei mi concedevano una libertà ed uno spazio di tempo impensabili ai tempi attuali ma il ritorno a casa per l’ora di pranzo ne era l’imprescindibile condizione.
Morale della favola, degli esiti del nostro “attentato“ne venimmo a conoscenza solo il giorno dopo,quando diventato di pubblica conoscenza sollevò l’indignazione e la condanna di tutto il vicinato.
So solamente che Felice si era trattenuto a lungo in paese, che era tornato a casa quando tutti erano a pranzo. Che, d’accordo con il mulinè Arturo, sul ritorno aveva ritirato un sacchetto abbastanza pesante di farina.
So che con quel fardello sulle spalle, scendendo dal ponte di legno del tutto tranquillo ed ignaro, aveva messo il piede destro al centro della nostra buca, la trappola aveva funzionato alla perfezione.
Forse solo grazie alla fortuna e al fatto di essere un tipo particolarmente energico e ginnico, il tremendo ruzzolone non gli causò la rottura di un arto o problemi ancora più seri.
Anche se del tutto colto all’improvvisa trovò infatti il modo, come in una mossa di judo, di liberarsi del sacco e di seguirlo con una piroetta, ma lo spavento ovviamente fu grande e credo sia stata una fortuna non essere presente a sentire tutti gli accidenti che avrà mandato agli spregevoli costruttori della trappola.
So anche che l’indomani mattina si era presentato nel laboratorio di mio padre, che lui lo aveva invitato ad entrare in casa, che gli aveva offerto da bere e che avevano parlato a lungo.
Non ho mai saputo cosa si siano detti di preciso ma adesso credo di poterlo immaginare.
Mio padre era un uomo fatto a modo suo, difetti ne aveva tanti come un pò tutti, ma sicuramente era una persona molto intelligente, mi parlò molto pacatamente ma con quel suo modo di dire le cose che ti perforavano le cellule, non usò che poche parole, d’altronde sapevo già perfettamente le cose che mi avrebbe detto, le condividevo totalmente, le avevo già dentro a rosicarmi
Mi disse che era venuto Felice, che gli aveva detto della buca e della caduta, che si era spaventato, che si sarebbe potuto fare molto male, che avrebbe potuto fare denuncia in caserma.
Non mi chiese ne accennò minimamente a chi era stato ad ideare e realizzare la trappola, ne se io avevo partecipato, ne mi disse che certe cose non vanno fatte, che non dovevano ricapitare, ne pronunciò alcuna minaccia, mi aveva messo spalle al muro.
Povero Felice, spero proprio che mi abbia perdonato e che abbia capito perchè da allora non sono più riuscito a guardarlo diritto negli occhi